Assenteismo fraudolento: anche senza il decreto sui furbetti del cartellino sono legittimi il licenziamento e la condanna per truffa

Doppia sentenza della Corte di Cassazione: i pubblici dipendenti erano stati licenziati per essersi assentati dall’ufficio senza timbrare il cartellino

20 Dicembre 2016
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di DONATO ANTONUCCI

Con due pronunce depositate a pochi giorni di distanza l’una dall’altra, la Sezione lavoro della Cassazione ha ridimensionato la portata innovativa del d.lgs. n. 116/2016, chiarendo cosa debba intendersi per “falsa attestazione” della presenza in servizio già sulla base delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 150/2009.

Si tratta delle sentenze della Cassazione Civile 14 dicembre, n. 25750 e 1 dicembre, n. 24574, relative ad analoghi giudizi discussi nella stessa camera di consiglio dell’11 ottobre 2016 (Rel. Torrice).
In entrambi i casi esaminati, i pubblici dipendenti erano stati licenziati per essersi assentati dall’ufficio senza timbrare il cartellino ed avevano contestato la sanzione disciplinare irrogatagli affermando di essersi solo limitati ad allontanarsi dal posto di lavoro, senza però alterare o manomettere il sistema di rilevamento delle presenze. Per tale ragione la condotta contestatagli non poteva essere ricondotta alla fattispecie di cui all’art. 55-quater, co. 1, lett. a), del d.lgs. n. 165/2001.

La Suprema Corte è stata però di diverso avviso, ricordando come questa disposizione (nel testo applicabile ratione temporis alla vicenda dedotta in giudizio, realizzatasi prima delle modifiche introdotte dall’art. 3, co. 1, del d.lgs. n. 116/2016) sanziona con il licenziamento non solo la falsa attestazione della presenza in servizio attuata mediante un’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza, ma anche quella effettuata con “altre modalità fraudolente”, la cui concreta individuazione e qualificazione rientra nella funzione interpretativa del Giudice ed in quella nomofilattica della Corte.

Furbetti del cartellino: le sentenze della Cassazione

In tal senso le due sentenze affermano che la registrazione effettuata attraverso l’utilizzo del sistema di rilevazione della presenza sul luogo di lavoro può ritenersi corretta e non falsa, soltanto se nell’intervallo compreso tra le timbrature in entrata ed in uscita il lavoratore sia effettivamente presente in ufficio. Viceversa, la registrazione deve ritenersi falsa e fraudolentemente attestata, qualora sia diretta a far risultare, in contrasto con il vero, che il lavoratore sia effettivamente presente in ufficio nell’arco temporale che va dal momento della timbratura in entrata sino a quella in uscita.
Conseguentemente, la fattispecie contemplata dalla norma introdotta nel 2009 deve ritenersi realizzata non solo nell’ipotesi di alterazione o manomissione del sistema di rilevazione, “ma in tutti i casi in cui la timbratura, o altro sistema di registrazione della presenza in ufficio, miri a far risultare falsamente che il lavoratore è rimasto in ufficio durante l’intervallo temporale compreso tra le timbrature/registrazioni in entrata ed in uscita”.
Gli Ermellini evidenziano poi che “utili elementi a conforto” della ricostruzione effettuata possono desumersi dalle modifiche introdotte nell’art. 55-quater dall’art. 3, co. 1, del d.lgs. n.116/2016, rilevando come “l’intervento additivo, sicuramente non qualificabile come fonte di interpretazione autentica, non ha efficacia retroattiva; è nondimeno indiscutibile la potestà del legislatore di produrre norme aventi finalità chiarificatrici, idonee, sia pure senza vincolare per il passato, ad orientare l’interprete nella lettura di norme preesistenti, in applicazione del principio di unità ed organicità dell’ordinamento giuridico (Cass. SSUU n. 18353/2014)”.

Nelle due sentenze si precisa comunque che “indipendentemente dall’intervento riformatore, la ricostruzione innanzi effettuata era, comunque, evincibile dal tenore letterale della disposizione …, dal quale non si ricava alcun elemento che consenta di affermare che, invece, nel passato la condotta tipizzata fosse individuabile nei soli casi di alterazione/manomissione del sistema di rilevazione delle presenze (Cass. n. 17637/2016, n. 17259/2016)”.
La Corte non manca inoltre di ricordare che l’omessa timbratura, se riferita a “periodi di assenza economicamente apprezzabili”, oltre alla rilevanza sul piano disciplinare, costituisce anche una condotta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 55-quinquies, c.1, d.lgs. n. 165/2001, andando infatti a configurare un’ipotesi di truffa aggravata.
Proprio in tal senso si sono ripetutamente espresse le Sezioni penali della Cassazione, da ultimo con la sentenza n. 46964 del 9 novembre 2016, in cui si afferma che l’allontanamento dall’ufficio del dipendente senza timbratura del cartellino, impedendo il controllo sulla quantità dell’attività lavorativa prestata, costituisce o una condotta idonea a trarre in inganno il datore di lavoro ed a far conseguire ingiusti profitti al lavoratore.
Nella sentenza si evidenzia come l’omessa timbratura è giuridicamente rilevante “poiché il dipendente pubblico…è tenuto ad uniformarsi ai principi di correttezza, anche nella fase esecutiva del contratto e, pertanto, ha l’obbligo giuridico di portare a conoscenza della controparte del rapporto di lavoro non soltanto l’orario di ingresso e quello di uscita, ma anche quello relativo ad allontanamenti intermedi, sempre che questi, conglobati nell’arco del periodo retributivo, siano economicamente apprezzabili”.

Danno apprezzabile e danno rilevante

A questo riguardo, rimarcando l’orientamento espresso in precedenti pronunce (n. 38665/2016, n. 34773/2016, n. 28784/2016, n. 5550/2016), si specifica che il “danno apprezzabile non è sinonimo di danno rilevante, non limitandosi il concetto alla mera consistenza quantitativa, ma investendo tutti gli aspetti pregiudizievoli per il patrimonio”. Se ne fa conseguire che anche l’allontanamento di poche ore o “l’indebita percezione di poche centinaia di euro, corrispondente alla porzione di retribuzione conseguita in difetto di prestazione lavorativa, costituisce un danno economicamente apprezzabile per l’amministrazione pubblica”.
Da ultimo, si ricorda che la Cassazione penale (Sez. V, n. 24274 del 5 giugno 2015) aveva già avuto modo di precisare che “la tolleranza dimostrata da coloro che avrebbero dovuto esercitare funzioni di controllo non comporta scriminanti di sorta, reali o putative, risolvendosi in sostanziali forme di complicità”, così anticipando, in chiave interpretativa, quanto oggi previsto dal comma 1-bis dell’art. 55-quater, in forza del quale della violazione commessa dal dipendente assenteista “risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta”.

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