Appalti, la Sicilia non può far da sé

Il governo ha impugnato dinanzi alla Consulta la legge regionale sugli affidamenti pubblici

Italia Oggi
10 Settembre 2010
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Il legislatore siciliano non può dettare disposizioni in materia di qualificazione delle imprese e di aggiudicazione trattandosi di materia di competenza esclusiva dello stato. È questa una delle censure più rilevanti contenute nel ricorso presentato dal governo a fine luglio (e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 1° settembre 2010) contro la legge regionale siciliana in materia di appalti pubblici (delibera legislativa del 13 luglio 2010 che ha approvato il disegno di legge n. 568) che ha dettato alcune disposizioni integrative della vigente legge regionale in materia di procedure di affidamento di contratti di appalto pubblici. Il ricorso punta a vedere affermato il contrasto fra le norme regionali e il Codice dei contratti pubblici (dlgs 163/06 e successive modifiche e integrazioni) che, in quanto recepisce le direttive comunitarie, costituisce diretta applicazione della normativa comunitaria, alla luce delle recenti sentenze della Corte costituzionale sul riparto di competenze fra lo stato e la regione siciliana. In particolare il governo mette in evidenza che, sebbene lo statuto regionale preveda la competenza esclusiva in materia di «lavori pubblici, eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse nazionale», la regione Sicilia non è libera di regolamentare la materia senza alcun vincolo e, quindi, anche in deroga alle norme di principio di cui al Codice dei contratti pubblici. Fra i vincoli che discendono dal rispetto della normativa comunitaria recepita dal Codice e che la regione deve tenere presente (anche per il vincolo del rispetto dei principi derivanti da obblighi internazionali), si legge nel ricorso, c’è innanzitutto quello del rispetto dei principi della tutela della concorrenza, strumentale ad assicurare le libertà comunitarie. Nel merito, l’ambito di applicazione della materia della concorrenza viene definito con riguardo alla nozione comunitaria e quindi alla necessità di assicurare «la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici». Applicando tale nozione al settore degli appalti pubblici, il ricorso evidenzia come la giurisprudenza costituzionale abbia fatto riferimento alle norme sulla fase di scelta del contraente, che hanno lo scopo di assicurare la concorrenza per il mercato e che tendono a tutelare essenzialmente i principi della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi. Il legislatore siciliano a questi principi deve uniformarsi, ancorché abbia competenza esclusiva, quando disciplina procedure ad evidenza pubblica; ciò anche al fine di assicurare, omogeneità e trasparenza delle procedure, in maniera che si dia, ad esempio, una uniforme qualificazione dei soggetti e una libera concorrenza degli operatori in un mercato senza restrizioni regionali. In particolare, poi, la Corte costituzionale ha già affermato che le norme sulle procedure e sui criteri di aggiudicazione rientrano nella tutela delle concorrenza e, quindi, sono di competenza esclusiva statale. Da ciò la violazione del Codice in relazione alle norme regionali che stabiliscono che non è soggetto a ribasso d’asta il costo del lavoro e escludono le giustificazioni ai fini di quanto disposto dal comma 1-bis 2 inerenti allo stesso si pone in evidente contrasto con quanto previsto dall’art. 87, comma 2, lett. g) del Codice degli appalti, che considera il suddetto costo oggetto di eventuale giustificazione da parte dell’offerente in caso di offerte anormalmente basse. In contrasto con il Codice (con l’articolo 86), ma anche con la direttiva 2004/18, si pone inoltre la disposizione regionale che prevede, in tema di valutazione dell’anomalia delle offerte, che le giustificazioni siano presentate dai concorrenti già in sede di gara. Infine, ed è la parte forse politicamente più forte del ricorso, anche le norme regionali dettate in materia di qualificazione e di aggiudicazione, sebbene ripetitive del Codice, vengono ritenute dal governo «precluse a qualsiasi forma d’intervento del legislatore regionale», dal momento che afferiscono alla esclusiva competenza dello Stato. Si attende quindi, adesso, la decisione della Corte costituzionale.

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