Per far scattare l’ineleggibilità e chiudere le porte del consiglio regionale è sufficiente che il candidato abbia un ruolo di potere in un ente, anche privato, su cui la regione abbia influenza. L’ineleggibilità, insomma, non colpisce solo i vertici di enti e società regionali, perché più del possesso o della dipendenza “gerarchica” contano l’effettiva«ingerenza » che la regione può esercitare sulla realtà di provenienza del candidato. Sulla base di questi principi la Cassazione(sentenza 16877/2010, depositata ieri) ha chiuso la lunga battaglia legale ingaggiata da Fortunato Romano (del movimento per le Autonomie) per evitare di dover abbandonare l’assemblea regionale siciliana, a cui era stato eletto nel 2008 con 8.956 voti di preferenza raccolti nel collegio di Messina. La Suprema Corte ha fermato definitivamente le ambizioni di Romano, ribaltando la decisione della Corte d’Appello di Palermo, che a settembre dell’anno scorso aveva dichiarato eleggibile il «deputato regionale» di Messina. Il punto nodale della controversia si è basato sul ruolo di presidente e consigliere d’amministrazione dell’Efal, l’ente per la formazione e l’addestramento dei lavoratori. L’Efal è emanazione del movimento cristiano lavoratori (Mcl, di cui Romano era presidente regionale), e dunque non è un ente pubblico; l’ente svolge però le attività di formazione professionale per conto della regione, e questo basta per determinare un legame sufficiente a procurare l’ineleggibilità ai suoi vertici. La formazione professionale, ricorda la corte, è infatti un’attività di «interesse pubblico» di competenza della regione, che la può affidare a soggetti terzi su cui esercita però poteri di indirizzo e controllo. L’Efal, insomma, è un soggetto privato, ma è comunque “vigilato” dal pubblico, dalla regione riceve i finanziamenti per la propria attività e il legame è così stretto che i suoi amministratori devono essere sottoposti anche al controllo da parte della corte dei conti. I criteri per individuare gli incandidabili e gli ineleggibili, in realtà, sono fissati autonomamente dagli statuti regionali, ma nell’ambito dei principi generali fissati dalla legge 165/2004 che impongono di garantire «la libera decisione di voto degli elettori» e «la parità di accesso alle cariche elettive». Questi principi, ribadisce la Cassazione, portano a escludere dai consigli chi si trova nella possibilità di effettuare un «uso strumentale di enti su cui incide in vario modo la regione».
Anche la guida di un ente privato può rendere ineleggibili in regione
Cassazione. Clausola di esclusione ad ampio raggio
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