di Paola Morigi – Com’è noto con il d.lgs. 23.6.2011, n. 118 ed i successivi decreti applicativi sono state introdotte una serie di norme, in attuazione degli articoli 1 e 2 della legge 5.5.2009, n. 42 sul federalismo fiscale, per armonizzare i sistemi contabili e gli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi.
Anche per lo Stato una specifica normativa era entrata in vigore, sulla base di quanto previsto dalla legge 31.12.2009, n. 196: si trattava del d.lgs. 31.5.2011, n. 91. La riforma però per i Ministeri non era completa e pertanto, proprio in questi giorni, si è addivenuti alla approvazione di un nuovo testo normativo, il decreto legislativo 12.5.2016, n. 90, avente per oggetto il completamento della riforma della struttura del bilancio dello Stato.
Ma perché, viene da chiedersi, potrebbe interessarci questa nuova norma, che parrebbe essere destinata esclusivamente ai Ministeri e al processo di formazione dei documenti contabili che portano al bilancio dello Stato?
L’interesse di comuni, province e regioni non dovrà certamente limitarsi ai soli stanziamenti di bilancio – e quindi ai contributi e trasferimenti che potranno essere assegnati agli enti locali, generalmente attraverso la legge di stabilità annuale – ma potrà riferirsi anche alla riforma contabile, che potrebbe avere dei riflessi sulle modalità di impostazione dei loro bilanci. Vediamo in che modo.
Com’è noto gli enti locali, dopo un periodo di sperimentazione che ha interessato all’incirca quattrocento amministrazioni locali, dal 2016 in virtù del d.lgs. 118/2011 e s.m.i. stanno applicando nuovi schemi contabili e hanno cambiato la classificazione delle entrate e delle spese, sulla base di principi generali e applicati, tesi a fornire una visione più veritiera dei valori di bilancio. Alla competenza finanziaria è stata sostituita la competenza finanziaria “potenziata”, che porta a considerare in maniera diversa il processo di formazione dei debiti.
Ora, se leggiamo il testo del d.lgs. 90/2016, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 30.5.2016, n. 125, ci rendiamo conto che anche in questo caso è stato previsto un periodo di sperimentazione che si prolungherà per due esercizi finanziari (2017 e 2018), nel corso dei quali la nuova classificazione avrà una efficacia meramente conoscitiva.
Una serie di Note integrative accompagnerà le previsioni dei singoli Ministeri e sono previsti anche Accordi fra gli stessi, ai sensi dell’articolo 4, per rendere più efficace l’azione programmatoria.
L’art. 8 prevede un sistema di contabilità finanziaria economico-patrimoniale e un piano dei conti integrato. Anche in questo caso abbiamo un riferimento esplicito ai Principi contabili, riportati in allegato al decreto.
Apparentemente lo schema è quello che trova già applicazione negli enti locali, con qualche eccezione però: pur facendo riferimento alla “veridicità”, alla “chiarezza” ed in generale a quei principi che sono contenuti anche in allegato al d.lgs. n. 118/2011 per gli enti locali, non troviamo ad esempio richiamata in maniera esplicita la contabilità finanziaria “potenziata” e pertanto qualche dubbio sul perché il legislatore abbia preferito non inserirla per lo Stato sorge spontaneo (1).
Riteniamo che gli enti locali debbano conoscere le modalità attraverso le quali si manifesta la riforma del bilancio statale, seguire la sperimentazione e documentarsi in ordine alla Relazione finale che verrà predisposta dal Ministero dell’economia e delle finanze, con l’ausilio della Corte dei conti, nell’ambito della quale si dirà come è andato il periodo sperimentale e probabilmente si formuleranno proposte e suggerimenti per le fasi operative.
Dal momento che gli enti locali in questo ambito sono in una fase più avanzata, suggeriamo loro di documentarsi sulle proposte formulate dai Ministeri e, se necessario, di richiedere attraverso i loro organismi di rappresentanza e la Conferenza Stato-Regioni quelle modifiche normative che potrebbero rendere più funzionali i loro modelli contabili.
Il d.lgs. 90/2016 prevede espressamente Accordi fra i Ministeri per quanto riguarda la fase della programmazione; sarebbe auspicabile, per dare attuazione concreta a quell’armonizzazione contabile che ci viene richiesta in ambito comunitario, un maggiore raccordo fra i modelli impiegati dai diversi enti, che spesso sono seguiti da Ministeri diversi: per lo Stato il riferimento è il Ministero dell’economia e delle finanze, per gli enti locali è il Ministero dell’interno, per le Camere di commercio (2) è il Ministero dello sviluppo economico, e così via.
Probabilmente su una materia così importante com’è quella contabile un ruolo di direzione da parte del Ministero dell’economia, che potrebbe formulare Linee-guida agli altri Ministeri per i modelli contabili dei diversi enti, sarebbe estremamente utile e contribuirebbe a rendere più leggibili e confrontabili i bilanci delle diverse amministrazioni.
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(1) Forse non si è voluto fornire un quadro esaustivo in ordine al processo di formazione dei residui.
(2) Le Camere di commercio ad esempio, applicando il modello contabile approvato dal Mise, non hanno più la contabilità finanziaria, ma una contabilità economico-patrimoniale.
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