Altro che premi e sanzioni, solo sanzioni e sanzioni

23 Settembre 2011
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Il decreto premi e sanzioni è legge dello stato (dlgs 149/2011, in vigore dal prossimo 5 ottobre). Il testo, messo a punto dai tecnici guidati da Luca Antonini (nella foto), ha subìto non poche modifiche rispetto alla bozza iniziale, ma ha mantenuto un forte squilibrio fra «bastoni e carote», con netta prevalenza dei primi sulle seconde, tanto da essere stato ribattezzato dagli addetti e lavori «sanzioni e sanzioni»: a carico di governatori, presidenti di provincia e sindaci, innanzitutto, che, in caso di dissesto dei propri enti, potranno anche essere rimossi dall’incarico e non saranno candidabili per dieci anni; ma anche di funzionari e revisori, per i quali è prevista la decadenza automatica e l’interdizione dalle funzioni. Per distinguere i «buoni» dai «cattivi», viene introdotto l’obbligo di presentare una relazione di fine mandato o legislatura, contenente un rendiconto finale dell’attività svolta. Rafforzate anche le sanzioni per chi non rispetta il Patto di stabilità interno: province e comuni, oltre al freno alle spese correnti, al blocco totale delle assunzioni, al divieto di indebitarsi per investimenti e alla riduzione alle indennità degli amministratori, subiranno anche una decurtazione delle risorse del fondo sperimentale di riequilibrio e, quando sarà attivo, del fondo perequativo. Il taglio sarà pari alla differenza tra il risultato conseguito e l’obiettivo programmatico, con un tetto massimo fissato al 3% delle entrate correnti registrate nell’ultimo consuntivo. Nel testo licenziato dal governo, l’asticella era posta al 5%, ma è stata abbassata su pressione di Anci e Upi, preoccupate dagli effetti di una misura che si applica fin da subito. Il ministero dell’interno, infatti, ha già annunciato che la mannaia per chi ha sforato il Patto 2010 arriverà presto. Pochi, come detto, i meccanismi premiali, perlopiù legati ai proventi della lotta all’evasione fiscale. Forte, pertanto, la contrarietà di regioni ed enti locali, pronti a impugnare un provvedimento giudicato fortemente incostituzionale.

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