Province e regioni è allarme bilanci di previsione. La sottrazione delle funzioni amministrative alle province, imposta dal decreto legge varato dal governo Monti, è caratterizzata dall’inconsueta scelta di prevedere una scadenza infrannuale, il 30 aprile 2012, entro la quale le province dovranno dismettere le loro competenze, a seguito delle leggi regionali e statali di attuazione. Proprio in questi giorni, province e regioni sono impegnate nella formazione dei bilanci di previsione e dei provvedimenti di programmazione gestionale, come i piani esecutivi di gestione. Le dead line del 30 aprile 2012 è evidentemente inconciliabile con la durata tipica dei documenti di bilancio e di gestione, che è almeno annuale, visto che l’anno finanziario rappresenta l’ambito temporale minimo per attuare le azioni necessarie per acquisire le risorse e impegnare le spese connesse alla gestione dei servizi. Per le province la situazione è di grave imbarazzo. Infatti, la data del 30 aprile 2012 non è certa: le regioni potrebbero non riuscire a produrre in un così breve lasso di tempo le leggi necessarie per completare il quadro della riforma imposta dalla manovra. Dunque, le province non hanno modo di modulare i bilanci, le spese, le entrate e le attività gestionali su un ambito temporale certo. Ma, d’altra parte, l’impostazione «prudenziale» dei documenti contabili, di programmazione e gestionali sull’intero anno 2012 apparirebbe poco realistica, tanto da inficiare la legittimità stessa dei bilanci, che debbono rispettare il principio di veridicità. Non minore è l’imbarazzo delle regioni. Anche i loro bilanci, se approvati nel termine naturale del 31 dicembre, risulteranno poco realistici, in vista dell’adempimento all’obbligo di regolare la distribuzione delle funzioni delle province tra i comuni o della scelta di tenerle per sé. L’impresa maggiormente improba per le regioni non consiste, in effetti, solo nella complessa architettura normativa necessaria per definire come traslare le funzioni provinciali e a chi, ma, soprattutto, nel regolare i flussi finanziari e patrimoniali in entrata e in uscita. Nessuno dei bilanci delle province e delle regioni risulterà, in sostanza, realistico. Per le province vi è, oltre tutto, l’aggravante della sostanziale inopportunità di porre in essere atti gestionali che introducano nuovi rapporti obbligatori ed impegnino l’ente troppo oltre il 2012. Nella sostanza, le province si trovano, nei fatti, in una situazione simile alla messa in liquidazione, nel corso della quale ragioni di logica e opportunità consigliano di concentrare le attività alla sola gestione «degli affari correnti», senza poter pensare di realizzare progetti ed attività come accordi di programma, convenzioni, appalti, concessioni che travalichino il brevissimo tempo a disposizione, prima che l’attuazione del decreto legge completi l’opera di cancellazione quasi totale delle competenze provinciali. Ulteriore problema deriva dall’eventualità che le province risultino coinvolte in progetti finanziati dall’Unione europea o da sponsor o da fondazioni bancarie del territorio, di natura pluriennale e soggetti a rendicontazione. In particolare, agli occhi degli organismi di controllo che rispondono a Bruxelles qualsiasi manovra che modifichi la titolarità del beneficiario dei fondi strutturali viene guardata con estremo sospetto. Per mecenati privati, d’altra parte, la personalità giuridica dell’ente provincia è spesso fondamentale, ai fini della gestione concreta dei progetti finanziati, che spesso permettono la ristrutturazione o manutenzione di beni culturali, musei, scuole, presidi sanitari o interventi di aiuto e sostegno al reddito di disoccupati o persone in difficoltà economica. Il rischio è la prematura chiusura di simili progetti, con la restituzione al mittente dei finanziamenti e la rinuncia ai benefici effetti nei confronti della popolazione amministrata. Naturalmente, laddove i comuni dovessero ricevere dalle regioni anche solo parte delle funzioni delle province, si estenderebbe anche nei loro confronti il problema dell’inadeguatezza e poca attendibilità dei bilanci di previsione.
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