MILANO – La destinazione delle risorse che alimenteranno il fondo perequativo della futura tassa municipale è già segnata: dai comuni del Nord a quelli del Mezzogiorno, e dalle città ai piccoli paesi. A indicare questa direzione di marcia sono in coro tutti i fattori che concorrono a determinare il peso del fisco sul mattone: la vivacità dei mercati locali, il numero di affitti e il valore dei canoni, e anche il livello medio delle rendite catastali. Risultato: con il prelievo attuale, ai capoluoghi delle regioni settentrionali la tassa immobiliare ipotizzata dal governo dovrebbe portare in media 380 euro ad abitante, mentre nelle città del Sud risulterebbe più leggera di quasi il 40%, fermandosi a quota 236 euro (si veda Il Sole 24 Ore del 5 luglio). Simili i livelli del centro (267 euro a testa), con l’eccezione di Roma dove il mattone ha dinamiche economiche nettamente “settentrionali”. La cedolare secca abbasserebbe questi valori senza, almeno all’inizio, incidere sulle distanze fra i territori. Se l’Italia fosse fatta solo dai capoluoghi, per assegnare a tutti la stessa dote iniziale con una perequazione orizzontale i sindaci del nord dovrebbero rinunciare al 7-8% del gettito, e girare l’85% di questi soldi al Mezzogiorno e il resto alle regioni centrali. Per conoscere i numeri reali bisognerà vedere in dettaglio gli ingredienti del fisco immobiliare che il governo deciderà di trasferire ai comuni. Il progetto, comunque, si fonda su cinque voci principali, dall’Ici superstite all’Irpef su affitti e seconde case fino alle imposte di registro, ipotecarie e catastali sulle compravendite. I calcoli sul gettito che ogni comune capoluogo potrebbe oggi ricavare dagli immobili si basano su questi elementi, e disegnano il classico paese spaccato in due. Le ragioni sono semplici. Più di un quarto della ricchezza fiscale che nasce dal mattone deriva dall’Irpef sugli affitti, che al Nord (e a Roma) offrono numeri molto diversi rispetto alle medie del Sud. Senza andare nelle metropoli, a Parma i canoni medi rilevati dal mercato sono doppi rispetto a quelli di Enna o Agrigento. Ad ampliare le differenze è anche l’evasione, che in Piemonte, Lombardia e Veneto tocca circa il 4% degli affitti (si veda l’inchiesta sul Sole 24 Ore di ieri) e in Calabria o in Sicilia ne inghiotte in media il 34%. Dislivelli simili si incontrano nel ritmo delle compravendite, che si traducono in imposte di registro e ipo-catastali: Pavia e Cosenza, per esempio, hanno lo stesso numero di abitanti, ma nella città lombarda i passaggi di proprietà nel 2009 sono stati il 20% in più che in Calabria. Alla divisione fra Nord e Sud, però, il mattone accompagna un’altra faglia, che separa le città più grandi, meglio se attrattive per ragioni di lavoro o di turismo, dai piccoli centri, spesso caratterizzati da un mercato locale congelato su una quota predominante di abitazioni principali e una fetta residuale di affitti, in genere caratterizzati da valori modesti. Per intuire il problema basta guardare a Sondrio, dove il mattone porterebbe nelle casse comunali 250 euro per ogni abitante, contro i 529 che sarebbero destinati a Mantova e i 480 che finirebbero a Milano.
Al Nord la service tax vale il 40% in più del Sud
La tassa immobiliare. Nei capoluoghi settentrionali in media 380 euro ad abitante contro i 236 euro di quelle del Mezzogiorno
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