L’articolo 1 del decreto introduce la nozione di «rete dei servizi per il lavoro» e vi include una lunga lista di soggetti, pubblici e privati (l’Anpal, le Regioni, l’Inps e l’Inail, i fondi interprofessionali, l’Isfol, Italia Lavoro, le Camere di commercio, le scuole e le università). In questo elenco rientrano anche tutte le agenzie private per il lavoro autorizzate a svolgere una delle attività previste dalla legge Biagi (somministrazione, intermediazione di manodopera, ricerca e selezione del personale, outplacement).
L’inclusione nella lista ha un valore importante sul piano programmatico, ma non ha conseguenze concrete immediate: la legge, infatti, si limita a indicare alcuni obiettivi comuni della “rete dei servizi”, come quello di garantire l’effettività dei diritti al lavoro, alla formazione e all’accesso a servizi di collocamento gratuito e il soddisfacimento dei fabbisogni di competenze dei datori di lavori.
Le agenzie per il lavoro, se vorranno limitarsi ad agire in regime di concorrenza con gli altri operatori del mercato, potranno continuare a operare come fatto finora, erogando i servizi per cui hanno ricevuto un’autorizzazione ministeriale. Se invece vorranno fare qualcosa di più, diventando soggetti che erogano il servizio in regime di collaborazione con le strutture pubbliche, dovranno chiedere e ottenere un provvedimento di accreditamento.
Questo provvedimento – istituzionalizzato per i servizi al lavoro dalla legge Biagi – costituisce il prerequisito che ciascun soggetto privato deve ottenere per agire all’interno di una rete dei servizi.
Nonostante siano passati più di dieci anni dall’entrata in vigore della legge Biagi, molte Regioni – cui tale riforma affidava il compito di istituire i regimi di accreditamento – non hanno completato l’iter normativo. Il Jobs act prova a superare questa inerzia ipotizzando un secondo canale di accreditamento nazionale, istituito in seno all’Anpal, non alternativo ma complementare rispetto a quello regionale.
Ipotizzando che l’accreditamento, attraverso uno dei canali previsti dalla legge, diventi pienamente operativo, resta aperto il problema di individuare quali compiti potranno in concreto essere affidati alle agenzie per il lavoro.
Su questo aspetto il Dlgs 150/15 non offre una risposta definitiva, in quanto assegna (all’articolo 11) ad apposite convenzioni stipulate tra il ministero del lavoro e le singole Regioni il compito di definire quale “modello” di organizzazione dei servizi per l’impiego sarà adottato in ciascun territorio.
Solo dopo che sarà definito tale modello si potrà capire in concreto quale spazio potranno avere gli operatori privati, come dimostra l’esperienza concreta di questi anni. Le Regioni che hanno scelto un modello di cooperazione estesa con i privati (ad esempio, la Regione Lombardia con la Dote Unica e più recentemente la Regione Lazio con l’esperimento sul contratto di ricollocazione) hanno assegnato agli operatori accreditati compiti di grande rilievo nella gestione dell’intero processo di inserimento lavorativo. Altre Regioni hanno scelto un approccio molto più cauto, assegnando alle agenzie private compiti meramente sussidiari.
Anche le agenzie per il lavoro sono chiamate a rivedere il loro ruolo strategico nel mercato del lavoro, realizzando finalmente quella polifunzionalità operativa che è stata loro proposta con il modello di autorizzazione della legge Biagi.
Le nuove norme aiutano questo percorso: l’accreditamento nazionale del Jobs Act consente il loro coinvolgimento nell’erogazione delle politiche attive del lavoro anche in quelle regioni che non hanno ancora definito un sistema regionale di accreditamento, e la disciplina dell’assegno di ricollocazione garantisce al disoccupato la facoltà di scegliere indistintamente un Cpi od un operatore privato, presso cui fruire dei servizi di assistenza intensiva per la ricollocazione nel mercato del lavoro.
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