ROMA – In mattinata il via libera dei governatori che incassano 425 milioni per il trasporto locale e la fiscalizzazione di altri 1,6 miliardi per il 2012. Poi a stretto giro il disco verde al blocco delle addizionali Irpef fino al 2013 e l’accettazione della «clausola di salvaguardia» pretesa dal Pd contro rischi di supertasse dal 2013 se un anno prima si capirà che i conti rischiano di non tornare. Con queste carte in più e dopo una frenetica trattativa, la bicameralina ha approvato ieri il decreto legislativo su fisco regionale e costi standard sanitari. La rivoluzione più complicata per i futuri assetti dello Stato, che mette in gioco oltre 130 miliardi di euro, è arrivata in porto. Il passaggio finale in uno dei prossimi Consigli dei ministri si rivelerà solo una formalità. Un match finito politicamente solo in apparenza in discesa per il Governo. Ma solo dopo ampie concessioni alle Regioni, che si sono viste riconoscere le contestazioni contro i mega-tagli della manovra estiva, e ai democratici, che in cambio dell’astensione hanno a loro volta incassato quasi tutte le richieste di modifica inizialmente negate. Un’astensione decisiva visto che il Dlgs, nella sua versione riveduta e corretta, è passato con i 15 voti a favore di Pdl, Lega, Svp, 10 astenuti del Pd e i soli 4 “no” di Terzo Polo e Idv, con l’assenza di Linda Lanzillotta (Api) che però era contro il decreto. Il rischio del pareggio – il 15 a 15 che aveva costretto il decreto sul fisco municipale a un voto dell’aula della Camera con tanto di fiducia – è stato scongiurato sul filo di lana. E grazie alla scelta sofferta e difficile dei democratici, che hanno superato la spaccatura iniziale a fatica e solo dopo una conta interna. Con divergenze e fino a ieri inattese lacerazioni col resto dell’opposizione. «Sono ottimista», aveva anticipato il leader leghista Umberto Bossi nel fare il suo ingresso in bicameralina. Mentre il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, aveva prima messo in guardia il Governo («solo se tolgono le tasse lasciamo passare il decreto») e che poi, dopo l’astensione, frenava gli entusiasmi della maggioranza: «La Lega non pianti bandierine. Il testo è migliorato per le nostre correzioni e ci siamo astenuti per senso di responsabilità. Ma l’albero del federalismo sta crescendo storto». Contro un decreto «che aumenta le disparità tra Nord e Sud» e un Governo «che mette le mani nelle tasche dei cittadini» s’è schierata invece l’Udc, che ha criticato anche i democratici: «Siamo meravigliati che tutto ciò avvenga col concorso del Pd che per garantire un po’ di soldi alle regioni rosse che governa si è piegato alla Lega». Mentre Gianfranco Fini da Monza commentava: «Non credo che in Italia ci sia il rischio di secessione. C’è però un rischio di coesione sociale, guardate in che condizioni è il Belgio». Parole a cui si sono aggiunte le perplessità dei presidenti di Anci (Sergio Chiamparino) e Upi (Giuseppe Castiglione) sul fatto che i tagli imposti dalla manovra a comuni e province non hanno ricevuto lo stesso occhio di riguardo riservato alle regioni. Nella cronologia dell’ultimo frenetico giorno di trattative e mediazioni, l’accordo con i governatori è stato decisivo per l’intesa finale. Tutto s’è sbloccato con l’accoglimento da parte del Governo del “lodo Colozzi” (l’assessore Pdl lombardo al bilancio) sui 425 milioni per il trasporto pubblico locale che saranno pescati dai fondi in più per gli ammortizzatori stanziati dalla legge di stabilità: basterà entro maggio un decreto di Economia e Lavoro. Ma dopo un’intesa con i governatori affinché garantiscano il cofinanziamento nel 2011 dell’accordo sugli ammortizzatori sociali utilizzando le risorse del fondo sociale europeo. I 425 milioni saranno esclusi dal patto di stabilità interno 2011. Ma dal dicastero guidato da Maurizio Sacconi fanno sapere: la dote che si può “stornare” alla cassa in deroga potrebbe limitarsi a 100 milioni. Sempre per il trasporto locale le regioni hanno incassato un altro risultato decisivo: la fiscalizzazione nel 2012 di 1,6 miliardi. «Il risultato della nostra coerenza istituzionale», commentava Vasco Errani (Emilia Romagna, Pd); «un risultato storico» enfatizzava il leghista Roberto Cota (Piemonte) sul via libera in generale al federalismo. Subito dopo il fronte si è spostato in Parlamento. Tramutandosi nell’accoglimento delle ultime proposte qualificanti del Pd rimaste fino a quel momento fuori. L’introduzione di una «clausola di salvaguardia» (su cui si veda altro articolo qui accanto) e lo sblocco delle addizionali Irpef dello 0,5% solo dal 2013. Con l’aggiunta di due corollari dell’ulti-m’ora: gli aumenti dell’1,1% e del 2,1% potranno interessare solo i redditi da 15mila euro in su (anziché da 28mila); chi ha già un’addizionale sopra lo 0,9% potrà mantenerla allo stesso livello. Apportati questi ultimi due cambiamenti la strada che ha poi portato all’astensione è improvvisamente diventata in discesa.
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