Oggi la quota di acquisti digitalizzati si aggira sul 5% e riguarda, quindi, solo sette dei 140 miliardi di spesa pubblica per questo capitolo, che a sua volta rappresenta quasi il 20% degli 800 miliardi di spesa pubblica complessiva (si veda l’infografica in alto). In altri Paesi le cose vanno meglio, per esempio nel Regno Unito, dove la quota di acquisti telematici raggiunge già il 20% del transato per beni e servizi.
Le recenti misure di spending review (Dl 95/12 e relativa legge di conversione n. 35/12) e quelle per l’agenda digitale, che il Governo dovrebbe varare in settimana nell’ambito del decreto per la crescita e lo sviluppo del Paese, vanno nella direzione di un ampliamento significativo del ricorso alla digitalizzazione degli acquisti della Pa, aumentando sia il numero di enti interessati sia la gamma di prodotti da negoziare telematicamente per importi al di sotto delle soglie comunitarie; gli strumenti dell’approvvigionamento elettronico (e-procurement) sono infatti una leva fondamentale per la razionalizzazione, la trasparenza, la semplificazione, la produttività e, in definitiva, la riduzione della spesa pubblica.
«Gli acquisti della Pa per importi inferiori alle soglie comunitarie (oltre le quali scatta l’obbligo di procedure più complesse) non superano il 20% del totale» stima Alessandro Perego, docente del Politecnico di Milano e direttore scientifico dell’Osservatorio agenda digitale, progetto di ricerca molto articolato, che ha il sostegno di top player del mondo Ict, bancario e dei servizi postali (BravoSolution, Capgemini, Consorzio Cbi, Engineering, Hp, Ibm, Intesa Sanpaolo, Istituto centrale delle Banche popolari italiane, Italtel, Orsyp, Postecom, Telecom Italia).
«La gestione telematica del 30% della spesa in beni e servizi potrebbe ricomprendere, in particolare, tutti gli acquisti sottosoglia – chiarisce Perego –. Considerando un risparmio medio del 13% sui costi di acquisto, in linea con le esperienze già in atto, si produrrebbero risparmi negoziali di 5 miliardi e un miglioramento della produttività interna alla Pa quantificabile in altri 2 miliardi, per un totale di 7 miliardi l’anno. Secondo noi, l’obiettivo è raggiungibile in un orizzonte di tre anni». Da considerare, inoltre, i benefici connessi alle analisi di spesa, che potrebbero far individuare più efficacemente gli sprechi da tagliare, e i miglioramenti possibili sui versanti della riduzione dei tempi di pagamento della Pa, della qualità del servizio a cittadini e imprese, della trasparenza e dello sviluppo dei fornitori più sani del Paese.
Nell’ambito della Pa gli acquisti sono effettuati dai singoli enti autonomamente, oppure attraverso le centrali di acquisto regionali, o ancora attraverso la Consip, la centrale di acquisto operativa a livello nazionale, che mette a disposizione la sua piattaforma per lo svolgimento delle gare, la partecipazione ai contratti e l’adesione alle convenzioni stipulate. Con le ultime due modalità di gestione centralizzata, però, viene oggi negoziata soltanto una quota del 10-15% degli acquisti. «Permane una pesante frammentazione di enti pubblici acquirenti, ben 11mila – osserva il docente del Politecnico – a cui corrispondono circa 12.500 stazioni appaltanti».
Quali, dunque, i fattori di criticità per un’adozione più spinta degli strumenti di e-procurement nella Pa? «Le centrali regionali di committenza e le piattaforme di e-procurement non sono attive in tutte le Regioni e non funzionano tutte con la stessa efficienza – elenca Perego –. Inoltre, le amministrazioni locali hanno spesso dimensioni medio-piccole e incontrano maggiori difficoltà: dovrebbero aggregarsi a centrali già funzionanti. C’è poi un problema di formazione e organizzazione del lavoro, per ricondurre a un solo ufficio le procedure di acquisto. Infine – conclude – bisognerebbe completare il percorso di informatizzazione della relazione tra Pa e fornitori, introducendo soluzioni che coprano l’intero processo procure-to-pay, dall’ordine fino alla consegna e alla fatturazione elettronica, che ancora manca».
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