Resta il settore idrico la punta degli investimenti delle local utilities, ma le difficoltà della crisi economica, le forti restrizioni del credito e l’incertezza tariffaria seguita al referendum sui servizi pubblici locali hanno ulteriormente frenato la spinta proveniente da società miste e aziende pubbliche di un settore che non è mai riuscito a decollare a pieno. Si viaggia intorno al miliardo e mezzo di euro di investimenti, di cui circa 1,2 finanziati con la tariffa e 300 milioni provenienti da contributi pubblici, rispetto a 1,8 miliardi di lavori realizzati nella fase pre-crisi (2008) e con un taglio dell’ordine del 40% rispetto alle opere programmate dai piani di ambito territoriali. Senza contare l’accentuarsi delle difficoltà finanziarie dovuto al fenomeno della morosità che nell’acqua è quattro volte quella del settore elettrico: 3,3 miliardi di crediti scaduti, di cui un miliardo scaduto da oltre 240 giorni. Il 49% viene dalle utenze domestiche, il 32% da altre utenze, il 13% dalla pubblica amministrazione.
Sono alcuni dei numeri contenuti nei due rapporti – uno sullo stato delle prime 100 local utilities italiane, l’altro specifico sul settore idrico – che saranno presentati oggi all’assemblea annuale di Federutility, a Roma. Per descrivere un settore spaccato a metà fra potenzialità di crescita colte solo in parte e grandi difficoltà. Uno dei grafici dello studio sull’idrico fotografa questa situazione: il 10% delle aziende è costituito da grandi operatori che fanno il 56% degli investimenti totali. Il restante 90% di aziende, medio-piccole, è divisa in due: un 45% di gestori attivi che fanno un altro 35% degli investimenti totali, provando a tenere il passo dei grandi, e un altro 45% di «gestioni in difficoltà» che non raggiungono il 10% del totale degli investimenti. Lì c’è una grande sacca per interventi di politica economica: incentivare accorpamenti, efficientare, in qualche caso privatizzare il servizio mettendolo a gara.
Il settore delle local utilities si avvicina ai 2,5 miliardi di investimenti, considerando i i 435 milioni del gas e i 577 milioni di investimenti del settore elettrico (dati 2011), che ha dovuto sopportatre nel 2012 una caduta ulteriore della domanda del 2,8%, tornando ai livelli del 2004. Dai bilanci delle prime 100 utilities arrivano investimenti per 2,1 miliardi, oltre il 60% del totale. «Nonostante queste difficoltà – dirà oggi il presidente di Federutility, Roberto Bazzano – le local utilities hanno continuato a investire con quella che chiamiamo la “logica del melograno”, un frutto composto da 600 semi in cui la maturazione dei singoli elementi contribuisce alla crescita dell’intero frutto».
La cura che propone Federutility comporta un’articolazione di misure che consentano ancora di coprire gli investimenti prevalentemente con le tariffe, ma guardino anche ad altri strumenti. Anzitutto, viene invocato nuovamente un finanziamento pubblico per le opere strategiche «individuate dal Governo» soprattutto per sopperire alle carenze nelle fognature, nella depurazione e nella continuità dell’approvvigionamento. Si denuncia la riduzione dei contributi pubblici che sono necessari dove le gestioni presentano maggiori difficoltà, quindi al Sud. In effetti, lì ci sono i fondi strutturali europei che possono svolgere un ruolo importante. Bisognerà poi incentivare – ma questo è già nei piani dell’Autorità – i gestori capaci di garantire qualità tecnica e commerciale del servizio. Bisognerà dare una «incentivazione del risparmio energetico e del recupero economico delle perdite idriche». Per quel che riguarda il metodo tariffario, «occorre fare riferimento a costi standard di settore, basati sull’individuazione del corretto prezzo di riferimento per processo». Per il resto, bisogna aprire nuove strade con leva fiscale, defiscalizzazione degli investimenti, hydro-bond, fondo di garanzia per fronteggiare l’allungamento del periodo di ammortamento delle infrastrutture (con un valore residuo più alto) previsto dall’Autorità, intervento della Cassa depositi e prestiti.
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