La Corte dei conti boccia il disegno di legge Delrio. Nell’audizione sul provvedimento che dovrebbe abolire definitivamente le province, il giudizio della Sezione autonomie della magistratura contabile è netto: basse possibilità di risparmio per gli enti, una volta che il disegno di legge dovesse entrare in vigore a tutti gli effetti, erischio di confusione amministrativa nell’indefinito periodo di transizione.
Il giudizio della Corte nei confronti del disegno di legge sul riordino degli enti locali è tranchant, soprattutto nell’impianto della redistribuzione delle competenze, il vero nucleo fondativo del disegno di legge e principio cardine su cui si basa l’intero progetto di ridefinizione dei livelli di governo.
Facendo leva sul mero spostamento di competenze tra enti di differenti piani istituzionali, il d.d.l. arriva alla conclusioni che il passaggio di funzioni da province ad altri enti abbia un impatto nullo sulle casse dello Stato. In realtà, scrive la Corte dei conti, tale assunto “appare però tutto da dimostrare nella sua piena sostenibilità”.
In particolare, osserva la Corte, traslare le funzioni dalle province alle città metropolitane, e, contemporaneamente, far corrispondere a questo passaggio uno “zero” in termini economici sembra azzardato.
Oltretutto, nota la magistratura contabile, i presupposti del disegno di legge sembrano confusionari, dal momento che postulano la sovrapposizione di compiti tra le sfere di governo arrivando, al tempo stesso, a conclusioni, come sul ruolo svolto dai comuni, di cui si potrà avere assoluta certezza solo una volta entrata in vigore la riforma.
Dunque, il punto focale resta sempre la soppressione delle province, sulla quale la Corte richiede con forza “alcuni passaggi decisionali con i tempi occorrenti ai fini dell’individuazione delle risorse di cassa tali da compensare gli oneri legati alla progressiva costituzione della città metropolitana”.
C’è poi un rischio: che i tempi tecnici rendano la nuova conformazione istituzionale un regime stabile per tempo indefinito, con la possibilità concreta che “la predicata transitorietà dovesse dilatarsi eccessivamente o addirittura radicarsi in attesa di nuove iniziative si perpetuerebbe una situazione di confusione ordinamentale certamente produttiva di inefficienze”.
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