Il susseguirsi di interven-ti normativi sui servizi pubblici locali non con-tribuisce certo a fare chia-rezza e a dare stabilità agli operatori, che si trovano sempre più sospesi tra novi-tà e rinvii. Da questo punto di vista il Dl sulle liberaliz-zazioni non rappresenta, purtroppo, un’eccezione: crea non poche incertezze e costringe i diversi attori isti-tuzionali a un tour de force che rischia di portare a scel-te poco ponderate e di ren-dere comunque inevitabile un’ennesima proroga di sca-denze piuttosto che la defi-nitiva messa a regime del sistema. In ogni caso l’arti-colo 3-bis introdotto nel Dl 138/2011, che introduce una nuova forma di «ambiti ot-timali» la cui definizione è affidata alle Regioni, ri-chiede di essere interpretato con attenzione. Si noti, an-zitutto, che qui non si appli-cano le esclusioni previste al comma 34 dell’articolo successivo. Pertanto il 3-bis e riguarda anche i settori non ricompresi nell’articolo 4 (energia elettrica, gas, farmacie e, parzialmente, l’idrico). Per contro, la ri-chiesta che le Regioni «or-ganizzino lo svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali» (di dimensione almeno provinciale) non in-tende che tutti i servizi deb-bano essere gestiti a livello di ambito, ma solo quelli che la Regione giudicherà tali e quindi, probabilmente, quelli già così regolamenta-ti: rifiuti, trasporto locale, acqua, eccetera Altrimenti, rischieremmo di assistere alla nascita di società cimi-teriali di ambito e ad altre amenità del genere, vanifi-cando l’autonomia, costitu-zionalmente garantita, dei Comuni. Un’interpretazione omnicomprensiva di servi-zio pubblico andrebbe in contraddizione con le nor-me, compreso lo stesso arti-colo 3-bis, comma 2, che prevedono invece la possi-bilità dei Comuni di proce-dere ad affidamenti di ser-vizi pubblici locali. Cer-chiamo di capire, infine, quali sono i «momenti chia-ve» del processo immagina-to dagli articoli 3-bis e 4 in materia di servizi locali. Il primo passo spetterà al Go-verno che, entro il 31 mar-zo, deve scrivere un decreto in cui illustrare con quali criteri i Comuni devono «individuare i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e univer-sale, verificano la realizza-bilità di una gestione con-correnziale» e, se del caso, decidono di attribuire il di-ritto di esclusiva su certi servizi (articolo 4, comma 1) ed emanare in proposito una delibera quadro (com-ma 2). Il secondo spetta in-vece alla Regione che, in base all’articolo 3-bis, comma1, dovrà individuare i servizi per i quali sia op-portuna una dimensione al-meno provinciale dell’ambi-to di affidamento e, quindi, emanare delle norme in proposito. Le Regioni do-vranno fare tutto ciò entro il 30 giugno. Se questo non accade, sarà il Governo a intervenire con l’esercizio di un potere sostitutivo (ma che, immaginiamo, richie-derà un po’ di tempo per po-tersi dispiegare). A seguito di ciò dovrà iniziare il lavo-ro di istruzione e di delibe-razione dei Comuni che, preso atto del decreto go-vernativo e di quanto rego-lamentato dalle Regioni, potranno formulare le loro scelte. I Comuni con oltre 10mila abitanti dovranno però richiedere, in base all’articolo 4, comma 3, il parere obbligatorio (ma non vincolante) dell’Autorità Garante per la Concorrenza che, a sua volta, si pronun-cerà entro 60 giorni di tem-po. Fatto questo, ci dovran-no essere le gare per l’affi-damento del servizio o con doppio oggetto, con i tempi che ne derivano. Tutto ciò è realisticamente realizzabile? In effetti si ipotizza una tempistica non proprio compatibile con la prevista decadenza al 31 dicembre 2012 degli affidamenti in house. E bene ha fatto il le-gislatore a introdurre un nuovo comma 32-ter all’ar-ticolo 4, che prevede una sorta di proroga di fatto de-gli affidamenti in essere, fino alla conclusione di questo laborioso iter buro-cratico.
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