Mantova, Bologna e Firenze si candidano a città regine della “service tax”, l’imposta immobiliare unica che sarà il pilastro delle entrate dei sindaci nell’Italia federale. Un’imposta che si annuncia particolarmente ricca nel CentroNord, e che non sembra invece destinata a dare troppe soddisfazioni a chi amministra un comune del Mezzogiorno, o più in generale un centro medio-piccolo e lontano dalle aree più spumeggianti del mercato immobiliare. L’imposta sul mattone annunciata dal governo che sarà definita da uno dei cinque decreti attuativi del federalismo fiscale in calendario per questo mese- deve riunire sotto un cappello unico le tante voci del fisco immobiliare che oggi finiscono nelle tasse di comuni e stato. Anche questa novità è sottoposta alla regola della «invarianza» della pressione fiscale complessiva, fissata dalla legge, ma a seconda degli ingredienti che andranno a comporre il tributo i conti per i singoli contribuenti potrebbero cambiare rispetto a oggi. Il primo componente è l’Ici, esclusa quella sulle abitazioni principali cancellata nel 2008, ma nella tassa finiranno anche l’Irpef su affitti e seconde case, l’imposta di registro e le ipocatastali sulle compravendite. La tabella in pagina, che per la prima volta prova a misurare il valore medio della nuova imposta in tutti i comuni capoluogo, raccoglie l’Ici attualmente applicata dai comuni e i frutti fiscali di compravendite (imposte di registro e ipocatastali) e affitti (registro e Irpef), calcolati sulla base di valori immobiliari, acquisti e affitti registrati in ogni città. A spingere in alta classifica i comuni grandi e quelli settentrionali sono soprattutto due fattori: il dinamismo del mercato e il livello degli affitti, che a Milano raggiunge livelli impensabili a Vibo Valentia, Catanzaro o Crotone, e il grado di aggiornamento delle rendite catastali, su cui si basa il gettito dell’Ici e quello dell’imposta di registro applicata alle compravendite. Il tasso di evasione, naturalmente, dà il proprio contributo ad ampliare queste differenze. Risultato: a valori attuali, Mantova e Bologna potrebbero contare su una service tax da 500 euro ad abitante, la grande maggioranza delle città settentrionali avrebbero un’entrata compresa fra i 300 e i 480 euro a residente, mentre quasi tutto il Sud si fermerebbe sotto i 200 euro pro capite (uniche eccezioni Bari, a quota 326, e Napoli, 298) fino ai casi estremi calabresi che superano di poco i 100 euro, cioè quattro o cinque volte meno rispetto alle città di testa. Il divario Nord-Sud è il primo fattore che differenzia i risultati della service tax sul territorio, ma non è l’unico perché i comuni in Italia sono 8.103, e sono collocati nei contesti territoriali più disparati. Un piccolo centro, piuttosto isolato, magari in aree montane, sarà costretto a contare su entrate magre, ma se la sua zona è amata dai turisti la situazione si inverte, e il saldo dell’imposta migliora insieme alla percentuale di seconde case e al numero di compravendite. Queste differenze si affacciano nell’analisi dei capoluoghi (basta guardare a Sondrio, che con 250 euro pro capite si colloca al 50esimo posto, lontanissimo dalle corregionali, e lo stesso accade in Veneto con Treviso), e sono destinate a rivelarsi molto più consistenti ampliando il calcolo a tutti i comuni italiani. La compartecipazione, insomma, non si dovrà occupare solo degli squilibri fra regioni ma anche di quelli all’interno del singolo territorio. L’importanza dei criteri di ripartizione delle risorse – al momento ancora tutti da definire, peraltro – è dimostrata anche dal peso del nuovo tributo sul totale delle entrate comunali: a Mantova, Ravenna e Biella la service tax potrebbe coprire il 30% del bilancio municipale; in molte città del Sud, invece, non arriverebbe neppure al 10 per cento. Ma questo non sarà il solo nodo da risolvere. Il decreto attuativo dovrà anche fissare la platea chiamata a pagarla; se l’imposta sarà così unica da cancellare anche l’addizionale Irpef, bisognerà trovare il modo per coinvolgere nel pagamento anche chi abita in una casa in affitto, e che oggi non viene coinvolto in nessuno dei cespiti chiamati a comporre il nuovo prelievo.
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