‘L’IA ci ruberà il lavoro. Lo sta già facendo, nell’indifferenza di istituzioni e sindacati.’
‘No, non è vero. Come per tutte le altre tecnologie, alcuni lavori moriranno e altri nasceranno, ma ci sarà sempre bisogno dell’essere umano’.
Proviamo a spiegarlo con un esempio. Qualche settimana fa, nel nostro Paese qualcuno ha lanciato l’allarme: 200mila dipendenti pubblici sarebbero a rischio a causa dell’intelligenza artificiale. È un titolo acchiappa-clic o si tratta di un rischio concreto? La domanda è mal posta, a mio avviso.
La verità, infatti, è che la Pubblica Amministrazione italiana sta subendo un ridimensionamento senza precedenti: non è più un posto di lavoro attrattivo.
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Intelligenza artificiale e efficienza del lavoro (pubblico)
Secondo i dati pubblicati da lavoce.info, per 100 posizioni a tempo indeterminato lasciate scoperte per l’uscita di dipendenti pubblici, ne vengono ricoperte con nuovi ingressi solo 72. E neanche la recente stagione di concorsi pubblici del PNRR è riuscita a invertire la tendenza. In sintesi: non troviamo più chi voglia lavorare nella Pubblica Amministrazione.
In questo contesto, quindi, l’intelligenza artificiale può essere utilissima sia per contribuire all’efficienza del lavoro, riducendo i tempi per la gestione dei procedimenti amministrativi e l’erogazione dei servizi, sia per migliorare le condizioni di lavoro negli uffici pubblici (e rendere di nuovo “figo” il posto pubblico, per usare le parole di un recente spot governativo).
È quanto stanno provando a fare negli USA dove si sono resi conto di avere un grande problema con le richieste di accesso presentate sulla base del FOIA (la loro norma sulla trasparenza). Nonostante nello scorso anno, le amministrazioni federali siano riuscite ad evadere 1,1 milioni di richieste, ci sono almeno 200mila domande ancora arretrate. E la situazione peggiora costantemente. Il rischio, oltre al contenzioso, è perdere la fiducia di cittadini e giornalisti a causa del ritardo nell’ottenere trasparenza. Per questo motivo, sono state avviate diverse sperimentazioni: dal chatbot che consente agli utenti di capire qual è l’ufficio che detiene i documenti di interesse (evitando inutili scambi di comunicazioni con altri uffici) a strumenti di analisi delle domande che consentano ai dipendenti di risparmiare fino al 60% del tempo nell’analisi dell’istanza (trovate alcuni dettagli qui).
Il Segretario di Stato USA Blinken, nel corso di un recente evento, ha raccontato di come l’IA sta aiutando i dipendenti del suo Dipartimento a migliorare la qualità della diplomazia statunitense (qui l’elenco di tutti i sistemi di IA che utilizzano). Invece, Elizabeth Allen, Vice Segretario di Stato per la Diplomazia Pubblica e gli Affari Pubblici, ha fornito la sua formula relativa a come cambia il lavoro dei dipendenti pubblici:
– 20% del lavoro è scrivere un buon prompt
– ChatGPT fa il 60% del compito
– il restante 20% consiste nella revisione da parte del pubblico dipendente.
Al momento, quindi, non sembra che l’IA sia un nemico dei dipendenti pubblici, quanto piuttosto un alleato.
>> PODCAST – La Sfida dell’Intelligenza Artificiale nelle Pubbliche Amministrazioni. Con Matteo Flora e Ernesto Belisario (Ciao Internet #1275).
Come semplificare l’attività amministrativa della P.A. con l’intelligenza artificiale
L’importanza delle regole
I tecno-entusiasti, però, non possono esultare. Secondo uno studio pubblicato da Harward Business Review, i dipendenti che utilizzano l’IA come parte centrale del loro lavoro si sentono più soli, bevono di più e dormono meno rispetto a chi non la utilizza. Questo impatto negativo sulla salute e sul benessere psicologico è una conseguenza dell’aumento dell’automazione e della riduzione delle interazioni umane senza la riprogettazione dei flussi di lavoro che metta al centro la qualità e la dignità del lavoro.
Ecco a cosa servono le regole, degli Stati e dei datori di lavoro (le AI policy), a cogliere le opportunità riducendo i rischi. Lontano dalle diatribe da social tra apocalittici e integrati.
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