La debole crescita della produttività dell’Italia è anche colpa del mancato investimento nelle città negli anni 2000 prima del PNRR

Le città italiane negli anni 2000, prima dell’avventura post-pandemica, hanno contribuito a trainare verso il basso la crescita della produttività a causa della mancanza di investimenti in trasformazione urbana: la produttività delle principali città italiane è cresciuta meno di quella già debole del Paese

18 Aprile 2024
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di LORENZO BELLICINI – Direttore Tecnico di CRESME RICERCHE

(in collaborazione con Cresme Daily)

Dietro la difficoltà dell’economia italiana di tenere il passo con gli altri paesi avanzati europei e di correggere i suoi squilibri sociali ed ambientali – si scriveva nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) #NextgenarationItalia. Italia domani, portando a sintesi una profonda convinzione di molta analisi economica – c’è l’andamento della produttività, molto più lento in Italia che nel resto d’Europa. Dal 1999 al 2019, il Pil per ora lavorata in Italia è cresciuto del 4,2 per cento, mentre in Francia e Germania è aumentato rispettivamente del 21,2 e del 21,3 per cento. La produttività totale dei fattori, un indicatore che misura il grado di efficienza complessivo di un’economia, è diminuita del 6,2 per cento tra il 2001 e il 2019, a fronte di un generale aumento a livello europeo.” Si ricorda inoltre che la Commissione (Europea) attribuisce il basso ritmo di crescita dell’economia italiana principalmente a un andamento insoddisfacente della produttività totale dei fattori (TFP), la cui causa è di carattere ormai strutturale tanto da richiedere “un ampio spettro di riforme e politiche mirate”.  Nel Piano sono citate molte delle cause che hanno determinato l’andamento negativo della produttività: come “l’incapacità di cogliere le molte opportunità legate alla rivoluzione digitale”; “la struttura del tessuto produttivo, caratterizzato da una prevalenza di piccole e medie imprese, che sono state spesso lente nell’adottare nuove tecnologie e muoversi verso produzioni a più alto valore aggiunto”; il “calo degli investimenti pubblici e privati, che ha rallentato i necessari processi di modernizzazione della Pubblica Amministrazione, delle infrastrutture e delle filiere produttive”; la relativa lentezza nella realizzazione di alcune riforme strutturali”. Riforme che il Piano intende realizzare: “Il governo intende attuare quattro importanti riforme di contesto – Pubblica Amministrazione, giustizia, semplificazione della legislazione e promozione della concorrenza”.  Alle riforme si accompagna, come è noto, una importante fase di rilancio degli investimenti, che insieme alle riforme “contribuiscono a rilanciare la produttività totale dei fattori e con essa la crescita potenziale dell’economia italiana”.  Non si cita però il tema delle città come causa della debole crescita della produttività del nostro Paese, anche se alle città verranno poi indirizzate parte delle risorse: 11 miliardi di euro alle aree metropolitane e molte risorse su varie azioni settoriali indirizzate ai comuni (l’IEFL in una sua analisi stimava oltre 50 miliardi di euro).  Il PNRR ha scelto, dati anche i tempi stretti, una via di spesa settoriale temendo che l’avvio di progetti più integrati richiedesse nel complesso sistema decisionale italiano tempi più lunghi.

Su questa chiara illustrazione della questione produttività resta però una riflessione da fare a partire da una domanda: è possibile che la debole crescita della produttività italiana negli anni 2000 possa essere imputata anche alla evidente difficoltà del sistema urbano del nostro Paese ad adattarsi alle sfide del nuovo millennio? In particolare, ci chiediamo se le città italiane hanno visto nel xxi° secolo aumentare la loro produttività e la loro competitività nel confronto internazionale e europeo e soprattutto rispetto alla dinamica nazionale? Insomma le città hanno trainato verso l’alto o verso il basso?

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