In assenza di un procedimento disciplinare il dipendente, anche se dimessosi medio tempore, il cui reato sia stato dichiarato prescritto, ha diritto al pagamento delle differenze retributive in caso di sospensione cautelativa, tranne per il periodo in cui l’azione penale abbia imposto una misura coercitiva della libertà personale. Sono queste le conclusioni contenute nella sentenza n. 4411/2021 della Cassazione che ha riformato la sentenza della Corte di Appello che aveva, invece, ritenuto non dovuto il pagamento del periodo di sospensione cautelare in assenza di un’assoluzione piena del dipendente.
La vicenda
Un dipendente ha chiesto il pagamento delle differenze retributive, dalla data di sospensione cautelativa operata dall’Ente fino alla data delle sue dimissioni. La Corte di appello, riformando la sentenza del Tribunale di primo grado, ha ritenuto non dovute le differenze retributive. Infatti, nessuna norma, né di legge né di contratto collettivo, ha previsto la obbligatorietà del procedimento disciplinare all’esito della sospensione cautelare. In altri termini, la sospensione cautelare doveva essere revocata e la retribuzione erogata per intero, anche in ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro, solo in seguito ad una sentenza di piena assoluzione. In ragione, inoltre, del pensionamento di dipendente, gli era preclusa la possibilità di rientrare in servizio. Nel caso di specie, la sospensione cautelativa ha avuto come obiettivo principale quello dell’interesse dalla PA a tutelare la propria immagine con ampia discrezionalità.
Avverso la decisione della Corte di appello ha proposto ricorso il dipendente in Cassazione, sostenendo che solo l’esito del procedimento disciplinare avrebbe potuto assorbire o meno il periodo di sospensione adottato, stante l’obbligatorietà del procedimento disciplinare in capo alla PA, anche in caso di rapporto lavorativo medio tempore conclusosi. Pertanto, in mancanza del procedimento disciplinare, il provvedimento cautelare aveva perso efficacia ex tunc.
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