Con un interessante decreto decisorio emesso ieri dal presidente del TAR Sardegna (n. 122 del 7 aprile 2020), il giudice amministrativo si è occupato della legittimità di un’ordinanza sindacale con la quale erano state introdotte restrizioni nel territorio comunale agli accessi alle attività commerciali, motivate dalla necessità di ridurre al massimo gli spostamenti dei cittadini quale misura di contenimento connessa all’emergenza Coronavirus. La medesima ordinanza imponeva l’obbligo di indossare all’interno degli esercizi commerciali strumenti di protezione (guanti e mascherine).
Il giudice amministrativo ha escluso l’illegittimità di tale provvedimento in quanto non appare manifestamente irragionevole, nel contesto emergenziale, la scelta di limitare il numero delle volte in cui può essere consentito al cittadino di recarsi in esercizi commerciali per l’approvvigionamento dei necessari beni alimentari, né tantomeno l’obbligo di indossare all’interno degli esercizi commerciali guanti e mascherine.
Il contenuto dell’ordinanza sindacale
Un sindaco di un Comune della Sardegna, per ragioni sanitarie legate all’emergenza Coronavirus, ha adottato un’ordinanza volta ad introdurre stringenti limitazioni ai comportamenti delle persone stabilendo, in particolare che:
– “dal 03/04/2020 la spesa presso le strutture di vendita (Market, Supermarket e Minimarket anche con superficie di vendita inferiore a 150 mq.) a prevalenza alimentare presenti nel territorio comunale, è consentita per un massimo di n. 2 (due) ingressi complessivi a settimana e per un massimo di n. 1 (uno) soggetto, o suo delegato, per nucleo famigliare”;
– “è ammessa l’uscita da casa per una sola volta al giorno di un singolo componente del nucleo famigliare ai fini della spesa alimentare nei panifici, macellerie, pescherie, frutta e verdura, purché siano esercizi commerciali non ricompresi e non all’interno dei Market, Supermarket e Minimarket”.
L’ordinanza dava attuazione, introducendo però ulteriori limitazioni per i cittadini, all’ordinanza n. 11 del 24 marzo 2020 emanata dal Presidente della Regione Autonoma Sardegna ed in particolare l’articolo 5 nel quale si dispone: “È consentito ad un solo componente di ciascun nucleo familiare uscire, una sola volta al giorno, dalla propria abitazione per provvedere all’acquisto di beni necessari ed essenziali. La limitazione sul numero delle uscite non si applica all’acquisto di farmaci”.
Nell’ordinanza il sindaco aveva motivato il proprio provvedimento contingibile ed urgente dando atto che “continuano a registrarsi comportamenti personali in violazione delle disposizioni riguardanti il precetto di ogni forma di assembramento in particolar modo presso gli enti erogatori di servizi pubblici e presso gli esercizi commerciali di maggiore entità”, con la conseguenza che vi era “l’urgenza e l’indifferibilità di adottare in via cautelativa ulteriori provvedimenti a tutela della salute pubblica, in coerenza con le disposizioni sopra citate, ed in particolare adottare specifici provvedimenti di regolamentazione delle operazioni di effettuazione della spesa presso gli esercizi commerciali di maggiore entità, con particolare attenzione alla frequenza massima settimanale per nucleo famigliare”.
I motivi alla base del ricorso proposto da alcuni cittadini
I ricorrenti hanno lamentato l’illegittimità della scelta amministrativa del sindaco per diversi profili, in quanto l’impugnata ordinanza si riteneva fosse destinata ad avere effetti gravissimi e immediati nei confronti di tutti i cittadini che vedevano “gravemente compromessi il loro diritto alla riservatezza, la loro libertà di movimento e le loro possibilità di approvvigionarsi di beni di prima necessità”.
La violazione della privacy derivava, ad avviso dei ricorrenti dall’aver introdotto, per la verifica del rispetto dell’ordinanza, una “cartella della spesa” fornita all’ingresso del supermercato con i dati anagrafici e gli estremi del documento d’identità. Il cartoncino doveva presentarsi alla cassa per essere obbligatoriamente timbrato ad ogni acquisto.
Altro vizio denunciato riguardava l’inefficacia dell’ordinanza sindacale, in quanto l’art. 3, comma 2, del d.l. 19/2020 dispone che “i sindaci non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza in contrasto con le misure statali, né eccedendo i limiti di oggetto cui al comma 1”, limiti riguardanti sia l’ambito territoriale di riferimento sia l’impossibilità incidere sulle attività produttive e su quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale.
La decisione del TAR Sardegna
Il Tar Sardegna, con il decreto in commento, ha ricordato come “per la prima volta dal dopoguerra, si sono definite ed applicate disposizioni fortemente compressive di diritti anche fondamentali della persona – dal libero movimento, al lavoro, alla privacy – in nome di un valore di ancor più primario e generale rango costituzionale, la salute pubblica, e cioè la salute della generalità dei cittadini, messa in pericolo dalla permanenza di comportamenti individuali (pur pienamente riconosciuti in via ordinaria dall’Ordinamento, ma) potenzialmente tali da diffondere il contagio, secondo le evidenze scientifiche e le tragiche statistiche del periodo” (Consiglio di Stato, Sez. III, decreto n. 1553 del 30 marzo 2020)”.
Fatta questa premessa, passando ad analizzare il contenuto del provvedimento sindacale, ha ritenuto che l’ordinanza contingibile e urgente impugnata risulta adottata in presenza dei presupposti di necessità e urgenza in materia sanitaria e non si pone “in contrasto con le disposizioni dettate a carattere nazionale e a livello regionale, peraltro richiamate nella stessa ordinanza”, tenuto conto che si limita “a rendere più stringenti alcune delle misure prese a livello nazionale e regionale con il dichiarato fine di evitare che il contagio nell’ambito comunale possa diffondersi attraverso comportamenti delle persone non in linea con l’obiettivo di limitare al massimo gli spostamenti e le uscite dalla propria abitazione per l’approvvigionamento dei necessari beni alimentari”.
Per tali ragioni, “non appare manifestamente irragionevole, nel contesto emergenziale, la contestata scelta di limitare il numero delle volte in cui può essere consentito al cittadino di recarsi in esercizi commerciali per l’approvvigionamento dei necessari beni alimentari (una volta al giorno nei piccoli esercizi e 2 volte alla settimana nei market), né tantomeno l’obbligo di indossare all’interno degli esercizi commerciali guanti e mascherine”. Infatti, “nella valutazione dei contrapposti interessi, nell’attuale situazione emergenziale, a fronte di una compressione di alcune libertà individuali deve essere accordata prevalenza alle misure approntate per la tutela della salute pubblica”.
Conclusioni
Il Decreto del Presidente del TAR Sardegna n. 122 del 7 aprile 2020 sembra offrire, a fronte di una pluralità di iniziative adottate dai sindaci, a parere di chi scrive, spunti di assoluta rilevanza in ordine all’individuazione dei limiti al potere di ordinanza sindacale in questa situazione di emergenza, limiti peraltro confermati dall’art. 3, comma 2 del d.l. 19/2020.
Ad una prima lettura, sembra di poter ritenere che le coordinate di legittimità, dettate dal giudice amministrativo nel decreto in commento, delle ordinanze sindacali siano le seguenti:
- l’ordinanza non deve porsi in contrasto con le disposizioni dettate a carattere nazionale e a livello regionale per il contenimento della diffusione del virus;
- sono ammesse ordinanze che introducono misure più restrittive e stringenti di quelle previste a livello nazionale e/o regionale al fine di evitare che il contagio nell’ambito comunale possa diffondersi attraverso comportamenti delle persone non in linea con l’obiettivo di limitare al massimo gli spostamenti e le uscite dalla propria abitazione;
- le misure comunali più stringenti debbono comunque dare evidenza delle ragioni che inducono i sindaci ad adottarle, in quanto nella motivazione del provvedimento deve illustrarsi la ragione per cui si ritiene di applicare nel proprio territorio comunale specifiche misure più restrittive (nel caso di specie l’ordinanza è stata motivata dal fatto che continuavano “a registrarsi comportamenti personali in violazione delle disposizioni riguardanti il precetto di ogni forma di assembramento in particolar modo presso gli enti erogatori di servizi pubblici e presso gli esercizi commerciali di maggiore entità”);
- sussistendo ragionevoli esigenze che inducono all’adozione di ulteriori misure di contenimento, ragioni come detto da illustrare adeguatamente nella parte motivazionale del provvedimento, nell’attuale situazione emergenziale, sono legittime le ordinanze sindacali che nella valutazione dei contrapposti interessi, a fronte di una compressione di alcune libertà individuali, impongano il rispetto di misure ragionevoli per la tutela della salute pubblica, ossia della generalità dei cittadini, che in alcuni contesti viene messa in pericolo “dalla permanenza di comportamenti individuali (pur pienamente riconosciuti in via ordinaria dall’Ordinamento, ma) potenzialmente tali da diffondere il contagio”.
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