“E’ legittimo il provvedimento, con il quale un Ente locale ha espresso un formale diniego in merito ad una istanza, avanzata da un cittadino nei confronti del Comune, di accesso generalizzato, ai sensi dell’articolo 5, comma 2°, del d.lgs n. 33/2013, come modificato dal d.lgs n. 97/2016, avente ad oggetto tutte le determinazioni dirigenziali, con relativi allegati, adottate da tutti i responsabili dei servizi in un determinato anno. Trattasi, infatti, per come proposta, di una richiesta sovrabbondante, “massiva”, pervasiva, contraria alla buona fede insita nell’istituto dell’accesso generalizzato e configurante un’ipotesi di abuso del diritto”. E quanto condivisibilmente statuito dal TAR Lombardia, sez. Milano III, nella sentenza 11 ottobre 2017, n. 1951.
Le finalità dei nuovi istituti di trasparenza amministrativa
Non vi è dubbio che i nuovi istituti di trasparenza amministrativa, fra cui l’accesso civico generalizzato, siano meritoriamente diretti a favorire forme diffuse di controllo da parte dei cittadini sull’operato delle pubbliche amministrazioni, oltre che ad introdurre misure, che consentano più efficaci azioni di contrasto alle condotte illecite ed ai fenomeni corruttivi. Ciò è stato ben puntualizzato dal Consiglio di Stato, nel parere 515 del 24 febbraio 2016, con il quale è stato esaminato proprio il decreto di rafforzamento della trasparenza. Tuttavia, la vicenda, che ora verrà illustrata, evidenzia come i migliori intenti del Legislatore, positivizzati in penetranti strumenti di conoscenza pubblica, possano essere strumentalmente utilizzati, dando luogo a condotte e richieste prive di alcun ragionevole senso. Un cittadino presentava a un Comune lombardo un’istanza di accesso civico, volta ad ottenere copia su supporto informatico «di tutte le determinazioni complete degli allegati emanate nel corso dell’anno 2016 da tutti i Responsabili dei servizi nell’anno 2016». Il Comune, esaminata la richiesta, giustamente chiedeva di precisare se, con la medesima, si intendesse dar luogo ad un “accesso civico semplice”, ai sensi del comma 1° dell’articolo 5 del d.lgs n. 33/2013, ovvero un “accesso civico generalizzato”, ai sensi del comma 2°, del medesimo articolo. Ricevuta la precisazione che trattasi di un “accesso civico generalizzato”, il Comune emanava un preavviso di diniego, sulla base della considerazione che l’istanza di accesso, così come concretamente formulata, era da considerarsi come “massiva” e manifestamente irragionevole, in aderenza alle Linee guida approvate dall’ANAC (delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016). A seguito di controdeduzioni, il Comune formulava il diniego definitivo, che diveniva oggetto di richiesta di riesame. A questo punto, il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza del Comune, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, ai sensi dell’articolo 5, comma 7° del citato decreto, respingeva la richiesta di riesame, confermando il diniego definitivo. Avverso il provvedimento di conferma, veniva proposto il ricorso al TAR.
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