L’analisi effettuata è svolta a partire dall’Indice di preferenza (IP) il quale, data la possibilità di esprimere due voti di preferenza, si calcola come rapporto tra il numero di preferenze espresse e il doppio dei voti ottenuti dalla lista in esame. IP è compreso tra un minimo di 0 – quando non è espresso nessun voto di preferenza – e un massimo di 1 – quando il numero di preferenze assegnate è uguale al numero di preferenze assegnabili. All’interno si effettua una vera e propria radiografia dell’utilizzo del voto di preferenza nel corso delle elezioni comunali: un’analisi che cerca di valutare tale uso anche a seconda delle aree geografiche.
Ecco come si apre la premessa allo studio del Cise: “L’odore di ritorno al passato che si sta capillarmente diffondendo nelle stanze della politica italiana sta rafforzando sempre di più una (erronea) convinzione in auge, per la verità, da almeno un decennio: una parte dei mali che assalgono il nostro sistema politico sarebbe risolvibile reintroducendo il voto di preferenza. Se così è, si capisce perché anche in questa occasione abbiamo deciso di fornire una precisa ricognizione sull’utilizzo delle preferenze da parte dell’elettorato italiano”.
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