Tale istituto non si presta ad un uso distorto come strumento di discriminazione nei confronti delle minoranze essendo assistito dalle garanzie procedimentali di comunicazione dell’avvio del procedimento e di partecipazione, non potendo peraltro la massima attenzione che si deve prestare all’uso dell’istituto, al fine di evitarne gli abusi, introdurre una sfera di insindacabilità del comportamento del consigliere comunale il quale, senza validi ed insuperabili motivi, si assenti dalla sedute per otto volte nel corso di un anno, così venendo meno all’assolvimento di un munus pubblico di particolare rilievo volontariamente assunto.
il disinteresse e la negligenza nell’adempiere il mandato genera non solo difficoltà di funzionamento dell’organo collegiale cui il consigliere appartiene, ma si pone in violazione dell’impegno da quest’ultimo assunto con il corpo elettorale che lo ha eletto e che ripone in lui la dovuta fiducia politico-amministrativa, a garanzia, inoltre dell’effettività del ruolo delle forze di opposizione e di minoranza.
Ai fini della decadenza dalla carica di consigliere, se le relative cause, in ragione delle conseguenze che riveste l’istituto sull’esercizio di un munus publicum, vanno interpretate restrittivamente e con rigore, è pur vero che le assenze danno luogo a decadenza quando mostrano, con ragionevole deduzione, un atteggiamento di disinteresse per motivi futili o inadeguati rispetto agli impegni assunti con l’incarico pubblico elettivo, laddove non vengano in rilievo giustificazioni obiettivamente rilevanti e serie, connotazioni queste che devono necessariamente assumere i validi motivi addotti a giustificazione a fronte dell’elevato numero di assenze dalle sedute con riferimento alle quali l’assente è venuto meno ai suoi doveri di carica, che la norma regolamentare prevede (cinque sedute consecutive o otto sedute nell’anno solare) ai fini della decadenza.
>> CONSULTA LA SENTENZA TAR LAZIO – ROMA, SEZ. II-BIS 22 MARZO 2017, n. 3786.
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