di Paola Morigi
La CGIA di Mestre ha diffuso sabato 20 agosto il testo di un nuovo studio (scaricabile qui) nel quale si riportano gli esiti di una analisi effettuata sugli investimenti a cominciare dagli anni in cui si è manifestata la crisi economica. Dallo studio risulterebbe che tra il 2007 e il 2015 gli investimenti in Italia, al netto dell’inflazione, sono scesi di ben 109,7 miliardi di euro, una riduzione che in termini percentuali è pari a 29,8 punti. Nessun altro indicatore economico ha registrato in questi anni una decurtazione così pesante. Ma vediamo più da vicino di cosa si tratta.
I settori nei quali si è registrata una contrazione più forte sono stati quelli dei mezzi di trasporto (autoveicoli, automezzi aziendali, bus, treni, aerei), con un calo del 49,3%, e dei fabbricati non residenziali (edifici commerciali, capannoni, opere pubbliche, ecc.) con una riduzione del 43,5%. Anche il comparto informatico e quello delle abitazioni civili hanno registrato ridimensionamenti del 28,6%. Un segno positivo si è rilevato invece per le telecomunicazioni (+ 10,2%) e per la ricerca e lo sviluppo (+ 11,7%). Va anche osservato che gli investimenti complessivamente nell’ultimo anno si sono leggermente incrementati rispetto all’anno precedente: se nel 2014 sono stati pari 256,7 miliardi nel 2015 si è saliti a 258,8 miliardi, con un lieve incremento dell’0,8 %.
Nel constatare che come investimenti totali si è tornati ai livelli di 20 anni fa, rileviamo anche che il ridimensionamento maggiore si è riscontrato fra le imprese, dal momento che sono queste che hanno drasticamente calato i loro interventi del 31,55%. Significativo però è stato anche il taglio della P.A., che ha ridotto opere pubbliche e altre iniziative del 28,2%. Le famiglie, disponendo di redditi più bassi, hanno calato le loro spese pluriennali del 27,5%, mentre le società finanziarie hanno abbassato le loro iniziative del 3,5%.
Come uscire da questa situazione difficile, che rischia di consolidare una crisi economica che si sta protraendo nel tempo? Come intervenire, dal momento che il debito pubblico italiano è particolarmente elevato, ma nello stesso tempo si rende necessario far ripartire gli investimenti per ritrovare quella fiducia indispensabile allo sviluppo?
Il Ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda nei giorni scorsi, rilasciando una intervista ad un noto quotidiano(1), ha convenuto sulla necessità di ottenere dall’Unione europea una maggiore flessibilità sul deficit, al fine di poter effettuare interventi pubblici importanti. Si stanno predisponendo poi nuove misure, in relazione al “pacchetto per lo sviluppo” – in particolare con il piano “Industria 4.0” ̶ attraverso una serie di stimoli fiscali per l’acquisto di macchinari e beni digitali, il potenziamento dei centri di eccellenza universitari sulla manifattura innovativa, i piani per la formazione nelle imprese, un ridisegno del mercato dell’energia al fine di alleggerire la bolletta energetica per le imprese. Anche la contrattazione aziendale ha la sua importanza, così come l’innalzamento delle pensioni minime, al fine di consentire di avere più risorse che possano stimolare i consumi. Naturalmente dovranno essere anche le imprese che, utilizzando gli incentivi fiscali messi a disposizione, dovranno effettuare i loro investimenti.
Ci auguriamo che le proposte alle quali sta lavorando il Governo per favorire la ripresa e per innovare il Paese possano avere modo di dispiegare i loro effetti. Già nel corso di questa settimana il Governo dovrebbe completare il percorso avviato con la legge 124/2015 e approvare una serie di decreti legislativi per completare le riforme avviate e modernizzare la pubblica amministrazione. L’impressione che si è avuta nel corso di questi anni è che ci si sia concentrati principalmente sulla riduzione delle spese senza però intraprendere un vero e proprio percorso di riforma, che necessariamente richiede tempi più lunghi. È giusto che si cerchi di eliminare gli sprechi, ma in parallelo, al fine di recuperare risorse per nuovi interventi sulla spesa pubblica sarebbe necessario sfoltire una serie di provvedimenti assistenziali che si sono cumulati nel corso degli anni – anche a favore delle imprese stesse – e avere così risorse da finalizzare a interventi più specifici. Un’attenta politica fiscale, con pesi e contrappesi che non favoriscano l’evasione, può essere di stimolo per favorire la ripresa economica.
In questo contesto naturalmente anche gli enti locali dovranno fare la loro parte. La nuova armonizzazione contabile impone un’ottica di medio-lungo periodo nella gestione del bilancio. Gli enti locali sono chiamati ad intervenire se non nella realizzazione di nuove opere pubbliche per lo meno nella manutenzione di quelle esistenti. Un’ottica più aziendalista e più attenta al futuro dovrebbe portare ad analizzare ogni intervento anche in relazione ai risultati che produce per la cittadinanza, per stimolare gli investimenti delle imprese, per il turismo. Si potrebbe così ritornare a livelli di investimenti accettabili per i nostri territori locali, migliorando la qualità degli interventi pubblici.
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NOTE
(1) Si veda La Repubblica del 20.8.2016, ma anche il sito del Ministero dello sviluppo economico (www.mise.gov.it).
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