Il governo è al lavoro sul decreto di riforma della dirigenza pubblica. Il testo potrebbe essere condotto in Cdm prima della pausa estiva (la delega scade il prossimo 29 agosto) e l’intenzione del Ministero della Pubblica Amministrazione sarebbe quella di non chiedere una proroga come è accaduto con altri stralci della riforma della Pubblica Amministrazione.
L’obiettivo di tale frangente dell’ampio corpo della Riforma Madia è quello di creare un mercato del lavoro della dirigenza di ruolo, valorizzando il sistema di valutazione; assegnazione degli incarichi sulla base di interpelli che tengano conto delle valutazioni ottenute dai dirigenti negli incarichi precedenti.
Alcune bozze del testo già circolano, ma ci sono elementi controversi che non sono ancora stati risolti. Come per esempio, la responsabilità esclusiva dei dirigenti davanti alla Corte dei Conti per atti da loro compiuti, che potrebbe lasciar fuori invece, eventualmente, i vertici politici che danno gli indirizzi alla macchina amministrativa. Per il resto molti punti della riforma avrebbero già assunto una loro forma. Andiamo ad analizzare 2 temi di rilievo che possiedono già un ampio grado di definizione.
Accesso alla dirigenza
Alla dirigenza si potrà accedere in due modi: o attraverso un concorso pubblico, oppure attraverso un corso-concorso.
– Il primo è riservato ai funzionari pubblici che hanno almeno cinque anni di servizio, oppure hanno un dottorato di ricerca o un master di secondo livello, oltre a coloro che hanno ricoperto incarichi dirigenziali per almeno cinque anni.
– Il corso-concorso è invece la strada di accesso alla dirigenza per chi non è già un dipendente della PA. Tuttavia per partecipare non sarà sufficiente avere la laurea: la bozza di provvedimento stabilisce la necessari età di un dottorato di ricerca o un master di secondo livello presso un’università italiana o straniera.
I dirigenti entrati per concorso saranno in prova per tre anni. Alla fine di questo primo periodo, dovranno sottostare ad una valutazione e potranno rimanere in carica solo se la oltrepasseranno tale vaglio. Coloro che entrano con il corso-concorso, invece, saranno assunti come funzionari, e potranno diventare dirigenti anche loro dopo tre anni (previa valutazione).
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Licenziamenti e rendimento
I dirigenti saranno licenziabili. Chi rimarrà senza incarico si vedrà corrisposta solo la parte tabellare della retribuzione. Per ogni anno fuori dagli organigrammi, poi, si subirà un taglio dello stipendio del 10%. Dopo sei anni nei quali non è riuscito a trovare una collocazione, il dirigente pubblico, sempre dopo una valutazione negativa sull’ultimo incarico ricoperto, potrà anche essere licenziato. L’unica via d’uscita per rimanere nei ranghi della pubblica amministrazione, sarà quella di accettare una retrocessione a semplice funzionario.
I dirigenti saranno tenuti a centrare tutti gli obiettivi che verranno assegnati. Chi mancherà i cosiddetti “target” andrà incontro a una decurtazione della parte variabile della retribuzione che potrà arrivare fino all’80%.
Tutti gli incarichi dirigenziali saranno a tempo. Non potranno durare più di 4 anni, prorogabili una sola volta e dopo una valutazione positiva dell’operato, per un periodo massimo di altri 2 anni (cosiddetto principio di rotazione).
Tra gli altri elementi cardine del decreto che riformerà il sistema della dirigenza nella PA annotiamo i seguenti:
istituzione di ruoli unici per i dirigenti dello Stato, delle Regioni e degli enti locali;
abolizione della figura (e non della funzione) dei segretari comunali che diventano dirigenti degli enti locali;
facoltà per i comuni sopra i 100mila abitanti di nominare, in alternativa al dirigente apicale, un direttore generale e affidamento delle funzioni di controllo della legalità dell’azione amministrativa a un dirigente di ruolo.
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