ROMA – Dei 112,8 miliardi che lo stato ogni anno trasferisce a regioni, province e comuni ne andranno fiscalizzati in prima battuta più di 20. Ma è una stima destinata a crescere, visto che riguarda solo il finanziamento delle funzioni non fondamentali svolte dalle autonomie locali. Per quelle fondamentali, infatti, bisognerà aspettare la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard. A dirlo sono le 122 pagine di tabelle allegate alla relazione presentata ieri dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Prima di tuffarsi nei numeri, la documentazione predisposta dalla commissione tecnica paritetica guidata da Luca Antonini chiede a governo e parlamento un intervento in manovra giudicato indispensabile per avviare davvero la fiscalizzazione dei trasferimenti oggi destinati ai vari livelli del governo locale. Per blindare il nuovo patto di stabilità, l’Economia ha previsto un taglio contestuale degli assegni a presidenti e sindaci pari al contributo che ogni comparto deve offrire al bilancio pubblico, ma nel caso delle regioni ha introdotto una clausola di salvaguardia che esclude i tagli dai calcoli per il federalismo fiscale. La stessa scialuppa di salvataggio, sottolinea la commissione paritetica nella relazione, va introdotta anche per province e comuni, che altrimenti rischiano di avviarsi verso il federalismo fiscale con uno dei pilastri dell’entrata alleggerito dalla manovra. Fatta questa premessa, il valore aggiunto del lavoro condotto dalla commissione nella ridda dei conti locali è quello di aver fatto chiarezza nel sottobosco di cifre e quantificazioni contenute nei bilanci, arrivando a individuare i primi numeri ufficiali sull’impatto della riforma cara alla Lega. Impatto, per ora, declinato nei termini di ricostruzione e ridisegno delle entrate, mentre per dire qualcosa di fondato sulle spese e, soprattutto, sui possibili risparmi conseguibili grazie al fisco federale bisognerà aspettare la definizione di costi e fabbisogni standard. Il primo capitolo di un lavoro che si annuncia ancora complesso, insomma, punta sui trasferimenti, divisi in due grandi filoni: dallo stato alle regioni e da queste a comuni e province. A proposito dei primi, dei 96,5 miliardi che nel 2008 i governatori si sono visti recapitare dal centro, fino a 7,5 potrebbero trasformarsi in entrate tributarie. Il nocciolo di questa dote è rappresentato dalle risorse rientranti nel cosiddetto «fondo unico» introdotto dalla manovra 2008, e ancora non attuato, in cui confluiscono i finanziamenti dei vari ministeri alle regioni per lo svolgimento di vari compiti: dal federalismo amministrativo, all’erogazione delle borse di studio; dall’attuazione delle politiche sociali al sostegno occupazionale dei disabili. In tutto, si tratta di 4,9 miliardi all’anno. Il debutto vero della fiscalità regionale, però, secondo la commissione dovrebbe poggiare su una base più ampia: al di là dell’effetto-aggiornamento, indispensabile se si considera che i calcoli della commissione sono stati condotti sui bilanci del 2008, sono gli stessi tecnici guidati da Antonini a chiarire che parametri più flessibili nell’individuazione dei trasferimenti da trasformare in fisco potrebbero alzare fino a 6,5 miliardi la somma per i governatori. Nel paniere rientrano infatti solo i trasferimenti permanenti ma alcune voci, dai contributi per l’edilizia residenziale al fondo per le non autosufficienze, oscillano o si spengono temporaneamente per esigenze di finanza pubblica, e non perché scompaiano le funzioni svolte dalle regioni: in gioco, su questo terreno, ci sono quasi 1,6 miliardi all’anno. A completare il quadro ci sono gli stanziamenti che partono da Palazzo Chigi, e che vanno a finanziare funzioni la cui competenza è regionale oppure, in misura minore, è incerta fra stato e governatori: sotto queste voci finiscono 750 milioni all’anno, che portano la base del fisco regionale a quota 7,5 miliardi. Procedimenti analoghi di scrematura sono stati condotti sulle risorse destinate ai comuni (15,9 miliardi già accertati) e alle province (1,4 già certi). In questo caso, però, per capire quanto si trasformerà davvero in fisco locale bisogna attendere ancora: in particolare, va affinata l’analisi dei trasferimenti che arrivano dalle regioni e di quelli che provengono dal Viminale ma non finiscono nelle casse di tutti i comuni, in base a meccanismi stratificati nel tempo.
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