ROMA – Il federalismo fiscale non costa e non divide. A ribadirlo è stato ieri il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Sia per iscritto, nella relazione tecnica che alle sette di sera ha ottenuto l’ok del Consiglio dei ministri ed è stata subito dopo inviata alle Camere per rispettare i tempi fissati dalla delega, sia a voce, nella conferenza stampa congiunta con i titolari di Riforme, Semplificazione e Affari regionali ( Umberto Bossi, Roberto Calderoli e Raffaele Fitto). A cui non ha partecipato il neoresponsabile del decentramento Aldo Brancher. Una comunicazione a due vie utilizzata da Tremonti anche per annunciare l’arrivo della cedolare secca sugli affitti. Una misura prevista nel programma elettorale del centrodestra ma più volte accantonata anche per presunti effetti sul gettito. Ma stavolta ci sarà. Non in manovra, come chiesto a gran voce dai finiani, bensì nel decreto sull’autonomia impositiva dei comuni, «che è il posto giusto per metterla » e «non toccherà la prima casa», ha precisato lui stesso. E con cui, parola di Bossi, giungerà a compimento «la seconda tappa importante dopo quello demaniale che è il federalismo comunale». Come previsto, la tesi “forte” espressa nella relazione del Tesoro è che la riforma non produrrà un aggravio per le casse erariali. A costare, ha spiegato Tremonti, è stato piuttosto un sistema di finanza pubblica che, negli ultimi 40 anni, è cresciuto come «un albero storto». Con due passaggi fondamentali: «La quasi totale centralizzazione della finanza pubblica, fatta al principio degli anni ’70 con la riforma fiscale Visentini e il decreto Stammati, e il decentramento- federalismo introdotto con le leggi Bassanini del 1997 e il nuovo titolo V del 2001». L’appuntamento di ieri era atteso anche per l’arrivo degli agognati numeri sulla riforma. Invocati a gran voce nei mesi scorsi tanto dall’opposizione quanto dalla componente finiana della maggioranza. Di cifre via XX settembre ne ha fornite parecchie. Specie per spiegare le sette «anomalie» che hanno portato il sistema italiano nelle condizioni in cui si trova: la proliferazione delle società partecipate e dei consorzi con 7.106 censiti dalla Corte dei conti nel 2009; i 3,6 miliardi di fondi europei utilizzati finora dal Mezzogiorno su circa 44 a disposizione per il periodo 2007-2013; l’esborso per pensioni di invalidità cresciuto da sei a 16 miliardi; il grado di autonomia impositiva che da noi è sceso allo 0,082 mentre in Canada è allo 0,482 con la compartecipazione Iva che per Tremonti «è diventata un bancomat »; le 45 fonti diverse di gettito per regioni, province e comuni; la spesa sanitaria che ha superato i 110 miliardi. Tuttavia l’Economia non ha fornito il numero forse più atteso: i risparmi che la riforma porterà con sé. Per averli, ha spiegato il ministro, bisognerà aspettare «tra luglio e settembre» quando sarà possibile quantificare i benefici ottenibili con l’abbandono della spesa storica a vantaggio dei costi e fabbisogni standard «definiti in termini oggettivi che non penalizzeranno nessuno». Una risposta a chi sostiene che il federalismo dividerà il Nord ricco e virtuoso dal Sud povero e spendaccione. Che è diventata ancora più esplicita nelle ultime battute della conferenza stampa: «Se volete dividere ? ha aggiunto ? non fate il federalismo fiscale, se volete evitare che si divida fate il federalismo fiscale». Toni e concetti sposati in pieno dagli altri ministri presenti. Calderoli ha sottolineato che «il federalismo fiscale è l’unico strumento per uscire da questa crisi». Facendo poi notare che nel corso della riunione del Cdm «c’è stato un applauso corale al ministro Bossi e al ministro Tremonti, cosa che non accade quando porta provvedimenti di altra natura». Laddove Fitto ha ricordato che la «solidarietà è il vincolo assoluto garantito in questo provvedimento, rilanciando la perequazione». Di diverso avviso l’opposizione. Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani parla di «ennesima commedia del governo che cerca diversivi con annunci di un futuro meraviglioso, dove nessuno perderà e tutti guadagneranno». Per il vicepresidente della commissione bicamerale che ha il compito di esaminare i decreti attuativi, il democratico Marco Causi, «il quadro proposto dal governo sembra una semplice fotografia dell’esistente, peraltro ancora contraddittoria e incompleta, com’è emerso oggi pomeriggio (ieri, ndr) in commissione durante le audizioni tecniche ». Critico sul metodo il presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani: «La relazione andava condivisa».
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