Ai sindaci arrivano tasse sugli immobili per 25 miliardi

Autonomia impositiva. Il prossimo Dlgs

Il Sole 24 Ore
1 Luglio 2010
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ROMA – Ora sotto con i comuni. Dopo il decreto sui beni demaniali varato il 20 maggio scorso e la relazione tecnica presentata ieri, la prossima tappa sarà il «federalismo municipale». Con il secondo dlgs il governo trasferirà ai comuni imposte nel comparto territoriale e immobiliare per 25 miliardi di euro. La conferma è giunta ieri dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Lo schema ricalca quello anticipato dal Sole 24-Ore il 24 giugno scorso. Tranne il nome che non dovrebbe essere né «service tax» né «imposta municipale unica ». Il meccanismo sarà il seguente: ai 10 miliardi che già oggi i sindaci incassano dall’Ici sulla seconda casa si aggiungeranno altri 15 miliardi derivanti dai «tributi statali che attualmente insistono sul comparto immobiliare». Vale a dire Irpef, imposta ipotecaria-catastale e di registro. Quando ciò avverrà (molto probabilmente nel 2012 ma si potrebbe antipare al 2011 per compensare almeno in parte i tagli della manovra, ndr), i trasferimenti statali oggi diretti ai municipi subiranno una “sforbiciata” di egual misura. Per quella data dovrebbe diventare realtà anche la cedolare secca del 20% sugli affitti, il cui gettito sostituirà quello prodotto dall’Irpef immobiliare. E la possibile perdita di introiti per l’erario ? da 175 milioni a 1,8 miliardi di euro secondo le diverse stime ? dovrebbe essere compensata con l’emersione dal sommerso. Toccherà ai primi cittadini decidere se far confluire nella tassa unica sugli immobili anche altre voci che oggi compongono il variegato universo tributario dei comuni italiani. Dove accanto a “volti noti” come Tarsu, Tosap e Tia si trovano illustri sconosciuti o quasi come la tassa per l’ammissione ai concorsi e il canone per l’occupazione di spazi o aree pubbliche. Il dlgs sull’autonomia fiscale dei comuni dovrebbe essere accompagnato da quello per le province. Che punterà sui trasporti e sull’auto sempre nell’ottica di semplificare il quadro. Il loro varo dovrebbe essere contestuale e potrebbe avvenire nel corso del primo Consiglio dei ministri utile. A chiudere il cerchio della futura fiscalità territoriale dovrebbe poi giungere il decreto sull’autonomia tributaria delle regioni. Che potranno contare su Irap (magari alleggerita rispetto a oggi), addizionale ampia all’Irpef e compartecipazione all’Iva. Nel frattempo dovrebbero vedere la luce altri due decreti attuativi su costi e fabbisogni standard per stabilire l’ammontare delle risorse necessarie a finanziare e perequare al 100% l’esercizio delle funzioni fondamentali dei vari livelli di governo. I primi riguardano le regioni e servono a calcolare l’esborso efficiente per erogare un determinato servizio nel campo di sanità, istruzione, assistenza e trasporto pubblico locale; i secondi interessano comuni e province e fissano i livelli di servizio adeguati su cui poi calcolare le uscite. In entrambi i casi dovrebbe trattarsi di un provvedimento snello che indica un «metodo» e avvia un percorso. Da riempire più avanti di contenuti e completare in cinque anni. A proposito dei costi standard, l’ipotesi più quotata è che si prendano in considerazione le best practices ottenute sul territorio nazionale usando un “paniere” composto da quattro regioni (si pensa a Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana). Per arrivarci, spiega la relazione, va avviato «un modello di gestione responsabile» basato sulle linee guida decise dalla conferenza delle regioni insieme all’Aifa e all’Agenas. Al contempo, per responsabilizzare i governatori, dovrebbe essere introdotto il cosiddetto «inventario di fine mandato»: una sorta di rendiconto certificato da far approvare in consiglio regionale sei mesi prima della fine del mandato. Per comuni e province, invece, si punterà sull’esperienza maturata dalla Società per gli studi di settore (Sose Spa) che oggi gestisce una platea di 3,5 milioni di contribuenti. Nell’elaborare i possibili fabbisogni standard, la Sose dovrà tenere conto di alcune variabili come numero di abitanti, estensione territoriale, presenza o meno di zone montane ed esternalizzazioni. Magari contrattandoli con i rappresentanti delle autonomie locali.

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