L’attacco al socialismo municipale sferrato dalla manovra correttiva, che vieta le partecipazioni societarie nei comuni fino a 30mila abitanti e ne concede al massimo una in quelli fra 30mila e 50mila, colpisce più del 91% delle società locali; il colpo di spugna potrebbe cancellare, o almeno ridisegnare in profondità, quasi 3.100 municipalizzate. A indicare i numeri è la Corte dei conti, che ieri ha depositato l’indagine sulle partecipazioni degli enti locali (delibera 14/2010 della sezione delle Autonomie; relatore Cinzia Barisano), e ha provato a misurare gli effetti del correttivo. I valori assoluti potrebbero essere ancora più alti, perché ai questionari dei magistrati contabili ha risposto poco più del 72% delle amministrazioni locali, ma l’entità del fenomeno è chiara: le società locali, scrive la corte, sono «uno strumento spesso utilizzato per forzare le regole poste a tutela della concorrenza, e sovente finalizzato a eludere i vincoli di finanza pubblica». Sulla stessa linea il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che nella relazione sul federalismo fiscale indica le esternalizzazioni (soprattutto di regioni e grandi comuni) la prima delle anomalie di una finanza pubblica da raddrizzare. Il primo passo per disboscare la foresta delle partecipate locali arriva dalla manovra correttiva: secondo il censimento della corte, il 60% delle partecipazioni si affolla nei piccoli comuni, con meno di 5mila abitanti, e solo il 2,8% è appannaggio delle città sopra i 100mila. Nell’indagine, la corte mostra il peso dei soggetti in campo ma non mette la mano sul fuoco sul cambio di rotta imposto dalla manovra. La legge di conversione, per ora, si dovrebbe limitare a posticipare di un anno, a fine 2011, il termine per dismettere le partecipazioni vietate (lo prevede un emendamento presentato dal relatore, Antonio Azzollini), ma il percorso verso l’approvazione non è ultimato. Rimane da capire, poi, il valore del richiamo fatto dalla norma alla finanziaria 2008, che aveva provato la strada della semplificazione delle società locali facendo però salve le attività «strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali» dell’ente e quelle che producono «servizi di interesse generale ». Se la clausola dovesse valere anche per la nuova misura, le forbici della manovra sarebbero spuntate dall’indeterminatezza dei criteri che permettono alle società di continuare a esistere. I tempi lunghi della carta delle autonomie, che ancora non individua le funzioni fondamentali degli enti (si veda l’articolo sotto), non aiutano a fare chiarezza. La definizione di chi si salva e chi no è comunque urgente, anche perché il 35% delle partecipate è attiva nei servizi pubblici locali. Più netta è la novità sulle perdite, che vieta alle pubbliche amministrazioni di andare in soccorso finanziario delle partecipate non quotate con bilanci in perdita per tre anni consecutivi in rosso. Anche qui la platea degli organismi colpiti è ampia, perché guardando i conti 2005 – 2007 la corte rileva che in media il 40% delle società locali chiude l’anno in rosso, e il 22% non trova mai l’utile nel triennio. I bilanci più zoppicanti si incontrano in Basilicata (40% delle società sempre in perdita nei tre anni), seguita a breve distanza da Molise, Sardegna e Puglia. Il mondo delle partecipazioni non si esaurisce però nelle società; nell’indagine la magistratura contabile censisce anche 2.073 fra consorzi, fondazioni, istituzioni e aziende speciali. Anche a loro la manovra riserva una stretta, che azzera indennità e compensi in tutte le «forme associative fra enti locali», con una previsione che dovrebbe salvare solo le circa 550 società consortili.
L’INDAGINE 60%
Piccoli comuni
Secondo il censimento della Corte dei conti, il 60% delle partecipazioni si affolla nei piccoli comuni, con meno di 5mila abitanti, e solo il 2,8% è appannaggio delle città sopra i 100mila 22%
Società senza utile
Quasi un quinto delle società partecipate da enti locali non trova mai l’utile nel triennio 2005/2007. I bilanci più zoppicanti si incontrano in Basilicata (40% delle società sempre in perdita nei tre anni), seguita a breve distanza da Molise, Sardegna e Puglia
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