Federalismo un’ombra sul Sud

Repubblica, Napoli
6 Luglio 2010
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Sprovvisto di idee sulle politiche che in questo momento dovrebbero aiutare il Mezzogiorno a non cadere in una catastrofe depressione, il governo non parla più di quel «Piano Marshall per il Sud» che Berlusconi preannunciò oltre un anno fa. Ma il tenore algido, politicamente e moralmente parlando, del governo berlusconiano emerge puntualmente dalla decisione assunta dal ministero dell’Economia di sanzionare, come se niente fosse, quelle Regioni che hanno sforato nella spesa sanitaria. Ci sarà di conseguenza l’aumento dell’Irap e dell’addizionale regionale Irpef in Campania, Molise e Calabria, tre regioni meridionali dove vive una popolazione prossima al 15% di quella nazionale e al 40% del Mezzogiorno. Il governatore Caldoro ha subito tenuto a precisare che si tratta di «sanzioni automatiche», come a dire che la Regione non ha responsabilità. E sembra che voglia intervenire per indurre il ministro Tremonti a correggere una decisione troppo pesante. Ma resta il fatto che Berlusconi e i suoi ministri, tra manovra economica senza rigore e equità e sudditanza a Bossi che pretende di istituzionalizzare subito il federalismo fiscale, fanno precipitare l’attenzione e l’interesse del governo nazionale verso il Mezzogiorno al punto più basso degli ultimi sessanta anni. Le “sanzioni automatiche” per lo sforamento della spesa sanitaria obbediscono alla stessa logica del federalismo fiscale. Ed è una logica punitiva che colpisce, in modo diretto o indiretto, i governati più che i governanti, per inefficienze politico- amministrative che derivano dal comportamento dei secondi, nell’esercizio delle loro funzioni, e verso cui i primi non possono avere reali responsabilità in quanto detentori del democratico potere di elezione. Sono criteri politico-morali tipici del buongoverno così come lo intendono i liberali conservatori, tutto appiattito sull’esigenza di fare buon uso delle risorse disponibili, ma senza darsi carico degli effetti economico- sociali che una politica di riequilibrio delle finanze pubbliche può cagionare. In un paese con squilibri strutturali gli effetti sono fatalmente drammatici, perché colpiscono maggiormente le regioni deboli. Ciò che sta accadendo nelle regioni sanzionate per l’inefficienza del sistema sanitario è come l’anteprima del dramma che scoppierà nel Mezzogiorno con l’avvento del federalismo fiscale. Servizi pubblici primari, assolutamente incomprimibili, patiranno la riduzione delle risorse fino a rendere incerta la loro sopravvivenza, mentre i concreti piani di riassetto funzionale e organizzativo affidati alle Regioni dovranno fare i conti con tempo tecnici non brevi, prima di poter determinare il regime “virtuoso” che allinea l’attività di settore ai costi standard (ammesso che questi siano stati fissati con criteri realistici). Un dramma sociale ed economico che abbasserà il livello della condizione civile del Sud e della sua attrattività territoriale per nuovi investimenti dall’esterno, rendendo così più lontano e incerto quello scatto in termini di produttività e crescita necessario per superare il dualismo Nord-Sud. Anche alcuni fautori del federalismo fiscale sembrano temere questo scenario, ma lo limitano alla sola fase iniziale del regime federalista, ritenendolo così cosa sopportabile senza veri riflessi sul destino del Sud. L’ubriacatura federalista del ceto politico italiano, compresi i partiti di centrosinistra, ne accusa abbassamento culturale ed etico-politico rispetto alla Prima repubblica. Cinquanta anni fa, negli anni dei primi governi di centrosinistra, l’Italia soffriva di problemi di buongoverno e di sviluppo analoghi a quelli attuali. C’erano grandi meridionalisti come il cattolico liberale Pasquale Saraceno e democratico-liberali come Ugo La Malfa che ne proponevano il superamento attraverso una politica nazionale di programmazione, volta da un lato a rendere stabile un alto tasso di crescita nazionale, e nello stesso tempo capace di ridurre il divario dualistico Nord-Sud. Ma di quella grande esperienza gli attuali riformisti democratici sembrano avere persa la memoria.

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