Così è stato per Giarre, autonominatasi Capitale italiana del-l’Incompiuto Siciliano (sic!), che nell’ultimo fine settimana ha celebrato la sua kermesse e già guarda avanti. Perché il festival è stato pensato come primo step di un percorso che porterà alla costituzione del Parco dell’Incompiuto Siciliano, un parco tematico costituito intorno ai principali esempi della Moncopoli giarrese: la piscina fuori norma, il teatro completato 40 anni fa ma mai aperto perché non antisismico, il mercato dei fiori, la tensostruttura con campo di basket già depredata dai vandali, la pista per automodellismo, la casa di riposo per anziani, la bambinopoli del parco Chico Mendez e il mostruoso stadio per il polo (sport mai praticato da nessuno, da queste parti) le cui gradinate orribili e spropositate meritano solo l’im-mediata demolizione. A tutte queste incompiute dovrebbe essere riconosciuto, invece del completamento agognato dai giarresi, lo statuto di monumentalità. La stessa che viene attribuita alle rovine, ma senza che le costruzioni in questione abbiano affrontato il ciclo del rovinare. La costituzione del parco giungerebbe anche al termine del “processo partecipativo di progettazione” effettuato durante lo scorso fine settimana. Prassi inaugurata col bilancio partecipativo di Porto Alegre, e che nel caso in questione avrebbe l’effetto d’uno spettacolare lavacro di coscienza civica. Paradosso? Provocazione? Nell’intenzione forse sì, ma trattare la cosa in questi termini significherebbe accettare il registro estetizzante che detta il senso all’intera operazione. E che invece andrebbe messo rigettato, assieme ai frammenti di narrazione che nelle pagine web danno una riverniciata di mito-modernità a quanto fino al-l’altroieri era soltanto scempio del territorio. Perché qui non è questione di inforcare un paio d’occhiali e vedere le cose in modo diverso, come se si fosse a una proiezione di Avatar. Piuttosto c’è da chiedersi se di questo passo non si proceda verso la revisione dell’immagine complessiva dell’Isola. Ché, legittimato il senso culturale dell’opera-zione sperimentata a Giarre, potrebbe aspirare l’intera Sicilia allo status di parco tematico. Una sterminata sagra del cemento interrotto e dei tondini sguainati, di gallerie e viadotti mozzati in vista dell’approdo che si spalancano su canyon di sterpaglie e munnizza stratificata, di autostrade e superstrade ormai postume senza aver visto completamento. E ingenuamente si credeva che tutto ciò potesse essere chiamato in molti modi, tutti negativi: devastazione del territorio, dissipazione di risorse pubbliche, ritardo infrastrutturale, banditismo politico-economico. Certo, mai avremmo immaginato si potesse musealizzare lo scempio, convertendo un male in patrimonio culturale collettivo. Il quale, alla fine, produce identità; e davvero è questa l’identità che da siculi vogliamo coltivare di noi stessi? Forse l’equivoco parte dall’uso delle parole. E si concentra sul carico di fascinazione semantica contenuto dal termine incompiuto. Il quale rimanda all’immagine romantica dello sforzo non coronato ma originato da un’idea ben definita, e trova la sua attrattività su una vasta gamma d’opere dell’arte e dell’ingegno umani, il cui valore estetico è stato diminuito ma non compromesso dalla non raggiunta conclusione. L’applicazione dell’etichetta d’incompiuto ha l’effetto di riverniciare l’oggetto, conferendogli una dignità ch’esso non avrebbe mai avuto né meritato. E allora sarebbe meglio chiamare le cose con altri nomi, quelli che maggiormente si attagliano. Dunque, Festival dello Scempio suonerebbe già più onesto. E non ci sarebbe qualcosa di egualmente omerico nello scempio? L’idea di un richiamo al male assoluto attorno al quale sarebbe ugualmente utile costruire un processo di urbanistica partecipata. Ma nel senso di mettere in piedi uno spettacolare procedimento pubblico di attribuzione delle responsabilità, a cui segua una simbolica consegna dell’opera incompleta (non incompiuta) ai principali responsabili dello scempio. Con tanto di intitolazione, breve didascalia che racconti una storia d’inadempimento (altra opportuna parola), e obbligo d’essere presenti accanto all’opera un tot di ore al giorno per la curiosità dei turisti. Non sarebbe una buona idea anche questa? Non si aggiungerebbe un bel tratto da museo antropologico al Parco dell’Incom-piuto Siciliano?
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