Un tetto sul tetto agli stipendi

L’interpretazione della disposizione relativa ai dipendenti pubblici

Italia Oggi
9 Luglio 2010
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Il tetto al trattamento economico individuale dei dipendenti pubblici, imposto dal dl 78/2010, non può estendersi alla retribuzione di risultato ed ai premi per la produttività. La manovra introduce un tetto per il trattamento economico individuale dei dipendenti e dei dirigenti, con il vincolo per tutti di non superare, nei prossimi tre anni, la misura del trattamento in godimento nel 2010 (art. 9, comma 19), e per i dirigenti, del limite del trattamento economico del precedente contratto, fatta sempre salva, per gli stipendi superiori a 90 mila euro, la decurtazione del 5%. Coerentemente con questo limite, il d.l. 78 prevede che, negli anni dal 2011 al 2013, le progressioni di carriera avranno effetti solo giuridici e non economici. Il congelamento del trattamento economico individuale al 2010 è, fra i diversi vincoli introdotti, il più difficile da comprendere, interpretare e applicare. La disposizione prevede testualmente: «Per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio, …, non può superare, in ogni caso, il trattamento in godimento nell’anno 2010, …». La formulazione della norma è dubbia e si presta a interpretazioni non univoche. Secondo la tesi più gettonata, nella locuzione «trattamento economico complessivo, ivi compreso il trattamento accessorio» pare debbano essere incluse anche le componenti retributive collegate a una specifica prestazione (straordinario, reperibilità, turnazione, rischio, maneggio valori, ecc) e alla qualità della prestazione resa (risultato e premio di produttività). Questa interpretazione letterale del testo normativo presenta almeno due profili di sospetta illegittimità costituzionale. Innanzitutto, annulla l’autonomia organizzativa delle amministrazioni locali, garantita dalla Carta costituzionale, e di recente esaltata dalla riforma Brunetta con il rafforzamento dei poteri datoriali dei dirigenti. Se così stessero le cose, solo i dipendenti che hanno svolto straordinario, reperibilità, turni, ecc nel 2010, potranno continuare negli anni successivi a rendere le stesse prestazioni, gli altri no, a meno di svolgerle senza la correlata remunerazione, in aperta violazione dell’articolo 36 della Costituzione. Non sarebbe, dunque, possibile sostituire, per esempio, l’economo, per l’impossibilità di erogare al nuovo incaricato l’indennità di maneggio valori di cui non aveva il godimento nel 2010. Ma non basta. Soltanto i dipendenti valutati «meritevoli» nel 2010, avrebbero interesse a continuare a essere produttivi fino al 2013. Gli altri no, perché i loro miglioramenti di performance resterebbero senza un riconoscimento economico. E gli esempi potrebbero continuare. È palese, quindi, che, se la norma dovesse essere applicata in questo modo, verrebbero annullati significativi spazi di autonomia organizzativa, con effetti negativi, quindi, sulla qualità dei servizi e delle prestazioni. È da aggiungere che gli enti locali non conseguirebbero risparmi di spesa, considerato che le eventuali economie non potrebbero essere acquisite al bilancio dell’ente, ma dovrebbero essere riversate nel fondo per il trattamento accessorio dell’anno successivo, per espressa previsione dei contratti di lavoro del personale delle categorie e dell’area della dirigenza, non modificati sul punto dal dl 78/2010. Una diversa interpretazione, logico?sistematica della disposizione, potrebbe essere sufficiente, allora, a superare i dubbi esposti e potrebbe consentirne l’applicazione senza le ripercussioni sull’organizzazione di cui si è fatto cenno. Secondo questa diversa tesi, nella locuzione «trattamento economico complessivo, ivi compreso, il trattamento accessorio» andrebbero incluse, mutuando i concetti dalla normativa pensionistica, solo le componenti (anche accessorie) fisse, continuative o ricorrenti, cioè sia quelle che costituiscono la parte fondamentale della retribuzione, come remunerazione per la normale attività lavorativa svolta, sia quelle che ricompensano con compensi continuati o ricorrenti, la speciale mansione esercitata presso l’ente. Dovrebbero rientrare, quindi, nel concetto di stipendio in godimento, oltre al trattamento tabellare e alla retribuzione individuale di anzianità, l’indennità di comparto, e la retribuzione di posizione per i dirigenti e le posizioni organizzative e le alte professionalità; per i segretari comunali, l’indennità di posizione (ma non la sua maggiorazione o l’indennità per la direzione), nonché le speciali indennità previste per gli appartenenti all’area di vigilanza o al personale docente e educativo. Al contrario, dovrebbero restare fuori dal calcolo le indennità di risultato e il premio di produttività, collegati alla qualità della prestazione resa, sia gli incentivi Merloni o per l’avvocatura, i diritti di rogito per i segretari comunali, le indennità di disagio, rischio, turnazione, per maneggio valori, di responsabilità di procedimento, ecc, che hanno natura di corrispettivo variabile e non continuativo. Il legislatore, in sede di conversione, dovrebbe fare chiarezza, come per numerosi altri aspetti. È evidente che la soluzione migliore sarebbe lo stralcio della disposizione, o, almeno il riferimento del tetto al complesso delle retribuzioni corrisposte dall’ente e non a quelle del singolo dipendente.

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