ROMA – Almeno il 20% degli immobili pubblici non è regolarizzato e cioè non è dotato di un “fascicolo immobiliare” completo. Molti fabbricati non sono stati accatastati, altri lo sono ma con informazioni parziali. Mancano in numerosi casi all’appello i certificati di abitabilità o di agibilità. Tanti enti pubblici, troppi per il Mef, dispongono di immobili senza conoscerne provenienza, valore e addirittura la proprietà è incerta. È per questo che, «per pervenire a una quanto più completa conoscenza del portafoglio immobiliare come punto di partenza per un adeguato processo di valorizzazione», il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha firmato nei giorni scorsi una circolare contenente le “linee guida per la costituzione di un fascicolo immobiliare”, la carta d’identità degli immobili pubblici. Il documento è stato diramato ieri. Questo “percorso metodologico”, che indica nel dettaglio come raccogliere la documentazione per una ricognizione puntuale del portafoglio immobiliare “mirato ai fabbricati”, è indirizzato agli enti pubblici non territoriali, in particolar modo agli enti previdenziali che dispongono di un importante patrimonio immobiliare. Non è chiaro se le casse notarili aderiranno o meno. Dopo le operazioni finanziarie di mercato come le cartolarizzazioni e la costituzione di fondi immobiliari, per velocizzare la dismissione degli immobili già in vendita di questi enti, il Tesoro incoraggia sempre più la pa a migliorarsi nel ruolo di proprietario immobiliare: anche in vista di operazioni di valorizzazione (tra le quali anche le alienazioni) che in prospettiva dovranno contribuire al risanamento e consolidamento dei conti pubblici. La conoscenza inesatta del valore di un bene, fabbricato o terreno, è il presupposto della svendita del patrimonio immobiliare dello Stato. Queste linee guida, come precisato nella circolare firmata da Tremonti lo scorso 9 luglio, comunque «possono costituire un valido riferimento per tutte le altre pubbliche amministrazioni (regioni, province e comuni) che intendano attivare un proficuo processo di valorizzazione ». Il Mef ha avviato proprio quest’anno un nuovo censimento sul patrimonio immobiliare della pa, con l’obiettivo di stabilire una volta per tutte l’entità e il valore dei beni immobiliari pubblici. I primi riscontri di questo monitoraggio seguito dalla direzione VIII del Tesoro, al quale hanno aderito circa 6mila amministrazioni (si veda il Sole24Ore di lunedì), hanno fatto emergere carenze enormi nella documentazione dei “fascicoli immobiliari”. Stando a fonti bene informate del Mef, «almeno il 20% degli immobili pubblici non è regolarizzato». La compilazione di un fascicolo immobiliare è un’operazione di ricognizione molto complessa. Sono almeno una ventina i documenti base richiesti: dal titolo di provenienza alla certificazione urbanistica ed energetica, dalla planimetria e visura catastale agli attestati di uniformità con tanto di valore di mercato attribuito dall’agenzia del territorio e copie di eventuali contratti di locazione. Vanno riepilogati gli interventi di manutenzione degli ultimi 5 anni ed acclusi i decreti di vincolo e le limitazioni al diritto di proprietà. La conoscenza del patrimonio immobiliare, inoltre, secondo queste “best practices” si articola su tre tipologie di documentazione: tecnica, amministrativo- gestionale e storico-artistica. Alle informazioni tecniche la circolare dedica un ampio spazio: localizzazione geografica, analisi urbanistica, identificazione catastale con redditività, rappresentazione grafica, lista intestatari, titolo di provenienza, nota di trascrizione e ricostruzione dei passaggi di proprietà. Le informazioni amministrativo- gestionali servono a dividere i beni strumentali da quelli non strumentali e questi ultimi vanno a loro volta suddivisi in liberi, occupati, con o senza titolo. Le informazioni storico-artistiche invece sono essenziali per «delineare le procedure per eventuali dismissioni».
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