ROMA – Come in fondo sapevano e temevano, e come venerdì Tremonti aveva già sentenziato senza possibilità di equivoci, sono rimasti a bocca asciutta. Per i governatori i tagli della manovra restano quelli scritti fin dall’inizio, anche se corretti nell’applicazione per salvare le regioni “virtuose”: 8,5 miliardi in meno in due anni. Se ne riparlerà forse con i decreti attuativi del federalismo fiscale e con la legge di stabilità in autunno, sperando che qualcosa intanto cambi e il clima si rassereni. Intanto ieri i governatori nell’incontro straordinario convocato per confermare la linea comune da assumere ? anzitutto la riconsegna delle deleghe ?hanno preso atto che il fronte s’è incrinato: i due governatori leghisti di Veneto e Piemonte hanno confermato che a restituire le deleghe non ci pensano proprio. Si sono sfilati ufficialmente. Anzi, se è per questo ne vogliono più deleghe: federalismo a geometria variabile, sarebbe l’aspirazione, nel solco dell’art. 116 della Costituzione. E così ieri c’è stata fumata grigia: nessuna decisione, nessun nuovo documento sottoscritto da tutti. La riunione dei governatori è stata aggiornata a questa mattina. Ma al di là dei tentativi che saranno fatti oggi di ricompattare le posizioni, la rottura del fronte è dietro l’angolo. Anche perché se i leghisti dichiaratamente non hanno alcuna intenzione di far guerre contro il governo, a tentennare sono soprattutto le regioni del sud sotto schiaffo per i conti sanitari in rosso della sanità, tutte in mano al centrodestra e tutte a caccia di comprensione (e accordi) con l’Economia. «Dobbiamo finire la discussione, poi comunicheremo le decisioni», s’è limitato a dichiarare ieri il rappresentante dei governatori, Vasco Errani (Emilia Romagna), al termine di una riunione nella quale è stato anche evocato l’intervento del capo dello stato sulla necessità di una «coesione nazionale». «Ci stiamo confrontando su tutto perché la situazione è complessa. L’unità delle regioni è un valore», ha affermato Renata Polverini (Lazio). Un «valore» che però per Roberto Cota (Piemonte) e Luca Zaia (Veneto) parte da una posizione di fondo che già in partenza è assolutamente alternativa: «Alla restituzione delle deleghe non ci pensiamo nemmeno. Vogliamo portare avanti la discussione con tranquillità essendo propositivi». Uno spartiacque che si cercherà di colmare entro questa mattina per salvare il salvabile dell’unità del fronte regionale anche in prospettiva della trattativa che a questo punto andrà affrontata col governo anche dopo il varo della manovra. Ben sapendo, però, che dopo il voto di fiducia di oggi al Senato, lo spazio per modificare il testo del decreto 78 alla Camera sarà pressoché nullo. Tutto si giocherà insomma nei prossimi mesi. E non è detto che il quadro di riferimento finanziario possa schiarirsi, anzi. Senza scordare che in ogni caso ciascun governatore dovrà poi affrontare sul proprio territorio la partita dei tagli, e a quel punto non sarà facile per nessuno, anche per le regioni di centrodestra, gestire tagli che non potranno limitarsi a colpi d’accetta contro gli sprechi.
Regioni divise sull’addio alle deleghe
Fumata grigia. I tagli non cambiano e il fronte dei governatori s’incrina: i leghisti Cota e Zaia vogliono più competenze
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