Entro settembre i comuni con meno di 5mila abitanti dovranno gestire in forma associata, tramite unioni o convenzioni, la gran parte delle proprie funzioni. La soglia minima di abitanti e di comuni delle gestioni associate sarà fissata con un Dpcm e, per le materie di propria competenza, con legge regionale. Questi comuni dovranno inoltre dare vita, entro la fine di novembre, a consorzi per la gestione associata dei consigli tributari. Nei prossimi mesi, quindi, la struttura e le competenze dei piccoli comuni saranno investiti da un ciclone che cambierà completamente la faccia e la struttura di quasi 6mila municipi. Il testo della manovra votata al senato, che l’Anci in questa parte chiede di stralciare, lascia aperti però numerosi dubbi. In primo luogo, come si debba intendere la necessità della gestione associata per le «funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70% delle spese». Le altre funzioni da gestire in forma associata non sollevano particolari dubbi. Esse sono: polizia locale, istruzione, viabilità e trasporti, gestione del territorio e dell’ambiente,settore sociale. Occorre chiarire cosa voglia dire, in rapporto al vincolo che tocca gli enti con meno di 5mila abitanti, che i comuni appartenenti o già appartenuti a comunità montane, con popolazione stabilita dalla legge regionale e comunque inferiore a 3mila abitanti, hanno un obbligo di gestione associata. La prima scelta che ognuno dei piccoli comuni, tranne Campione d’Italia e i comuni unici in un’isola, si troverà dinanzi nei prossimi mesi è quella del modello di gestione associata. Il legislatore offre le due alternative della unione e della convenzione mentre non viene consentita, almeno in forma esplicita, la possibilità della gestione associata tramite la comunità montana, che ai sensi dell’articolo 27 del Tuel è un’unione di comuni. In tale ambito, e fermo restando che si dovrà comunque raggiungere il numero di abitanti o di municipi minimo che sarà previsto dalla legge regionale e dal Dpcm, i comuni dovranno decidere se la gestione associata si occuperà di tutte le materie o se vi saranno più ambiti a secondo delle funzioni. Il legislatore consente entrambe le opzioni, in quanto pone solo il divieto di gestione in forma singola di funzioni fondamentali svolte in forma associata e quello di gestire la stessa funzione in più di una forma associata. Le leggi regionali potranno dettare ulteriori specificazioni. Occorre analizzare le possibili opzioni alla luce delle risorse umane, strumentali e finanziarie che sono a disposizione: è evidente che la norma punta alla razionalizzazione dei costi, oltre che a miglioramenti qualitativi, per cui le gestioni associate devono essere fatte con le risorse a disposizione. Il che creerà, come dice l’esperienza di questi anni,numerosi problemi per ciò che riguarda il personale. La gran parte dei dipendenti dovrà essere utilizzata dalla gestione associata. Ma, sulla base del contratto nazionale del 22 gennaio 2004, articolo 14 comma 1, gli enti locali che danno vita a gestioni associate «possono utilizzare, con il consenso dei lavoratori interessati, personale assegnato da altri enti». Quindi occorre l’adesione dei singoli dipendenti, tranne che si scelga la strada di trasferire interamente la titolarità della funzione e, quindi, il personale. Si deve anche pensare agli effetti che saranno determinati dalla unificazione di servizi e, quindi, dalla soppressione degli incarichi di responsabile oggi esistenti nei singoli comuni. Per la gestione associata dei consigli tributari si deve sottolineare che il legislatore prevede un unico modello: il consorzio. Un modello da tempo abbandonato, al punto che è stato previsto dalla finanziaria 2010 l’addio a quelli di funzione esistenti.
Nei piccoli comuni unioni obbligate da subito
Manovra. Al via da settembre la gestione associata delle funzioni generali
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