Sì, un “dono”. Frutto per la precisione di un particolare stato d’animo, un “animus donandi” irrazionale. In fondo un regalone, niente altro che questo, peccato che si configuri come un danno erariale. Se le cronache di queste settimane evidenziano un fitta rete di rapporti di scambio tra politica, pubblica amministrazione e affari, una recentissima sentenza della Corte dei conti ci riporta a cose persino più semplici. Ma comunque esemplari di un certo modo (sbagliato) d’impiegare denari pubblici. Accadde nel maggio 2004. L’ingegner Giancarlo Cimoli, classe 1939 da Fivizzano (provincia di Massa Carrara, lo stesso paese, curiosità, dove sono nati il coordinatore del Pdl Denis Verdini e il ministro Sandro Bondi) sta per passare dal timone delle Ferrovie dello Stato a quello di Alitalia, aziende controllate entrambe dal Tesoro. Cimoli ha alle spalle una lunga esperienza di dirigente nell’industria chimica privata e pubblica. Nel 1996 il governo Prodi-Ciampi lo chiama al vertice delle Ferrovie, dove resterà per otto anni, fino al 2004, quando il governo Berlusconi deciderà di nominarlo ad di Alitalia. In otto anni, così come ricostruito dalla magistratura contabile, Cimoli percepisce emolumenti per circa 9 milioni, Tfr e indennità speciali escluse. Per il solo periodo 2001-2004 il conto assomma a 5 milioni e va ricordato che nel marzo 2001 è riconosciuta al manager un’indennità di fine rapporto- oltre 1 milione e 250 mila euro – da lavoro dipendente «espressamente ricognitiva delle performances dirigenziali, che si assumono di spiccato pregio». Nel maggio 2004 il cda delle Fs assegna però un ulteriore premio a Cimoli, per l’esattezza 4.564.139 di euro. Perché? Tra le motivazioni addotte dai tre consiglieri (l’avvocato Roberto Ulissi e i professori Franco Gaetano Scoca e Mario Sebastiani condannati ora dalla Corte dei conti a restituire in solido alle Fs la somma attribuita all’ingegnere) si fa riferimento «all’apprezzamento dei risultati raggiunti e alla volontà di favorire la collaborazione della risorsa (Cimoli, ndr) in altra società, strategica per lo stesso azionista». No, affermano i giudici contabili. La delibera non sta in piedi e nessuna “ragione fondata” poteva indurre a sostenere un simile esborso da parte di un’azienda pubblica in deficit e sussidiata dallo stato. Siamo di fronte a un indebito trattamento economico liquidatorio che va a sovrapporsi di fatto a premi e indennità già riconosciuti e ” minutamente concordati” e tenuto conto del fatto che non erano da corrispondere indennità risarcitorie per recessione contrattuale, visto che era Cimoli a lasciare la guida delle Fs per passare all’Alitalia. E poi, non è agli atti alcun parere favorevole alla delibera da parte dell’azionista-Tesoro. Insomma, perché? «Smodata e non dovuta intenzione premiale», sentenzia la Corte dei Conti. Un’elargizione «promossa da un irrazionale animus donandi o da una volontà di conferire una sorta di gratifica all’interessato non prevista dall’attuale ordinamento repubblicano né da vincoli contrattuali». Una scelta «in palese disprezzo ad ogni elementare criterio di buona amministrazione e di economicità». Non è il mercato,bellezza. È l’economia del dono (applicata ad aziende pubbliche) fatta di gesti semplici, istintivi. Ma niente di personale, per carità.
Sul premio a Cimoli i conti li fa la Corte
PIT STOP
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