ROMA – Comuni assimilati ai contribuenti degli studi di settore. Ci saranno quelli «congrui e coerenti», che nulla avranno da temere sul loro fabbisogno. E quelli che dovranno adeguarsi «in dichiarazione». Anche se per gli 8mila municipi non ci sarà nessuna denuncia da compilare per rispettare gli standard fissati dal governo, ma più concretamente ci sarà il rischio, o meglio la certezza, di vedersi tagliar fuori dai trasferimenti statali. Tra i 3,5 milioni di autonomi soggetti agli studi di settore e gli 8mila comuni italiani il punto di incontro sarà la Sose, a cui il decreto approvato ieri affida il compito di definire i fabbisogni standard degli enti locali. Il governo, infatti, ha puntato sull’esperienza decennale della società sugli studi settore, interamente pubblica (88% Economia e 12% Bankitalia). Ma soprattutto ha scommesso sulla professionalità e sui mezzi della Sose che può contare su una banca dati con 25mila variabili “pulite”, ovvero filtrate da 15mila elementi in grado di verificare la bontà e la veridicità delle singole informazioni riportate sui questionari. Una miriade di dati e una modalità di approccio che secondo l’esecutivo consentiranno alla Sose di poter creare un “abito” su misura per ogni singolo comune. Il punto di forza e di partenza dell’intera operazione saranno dunque i questionari. Nella realizzazione dei fabbisogni standard non saranno utilizzati i dati degli studi di settore che al massimo potranno essere necessari per testare e validare eventuali servizi. Bensì le informazioni che gli enti locali comunicheranno rispondendo ai questionari e l’analisi delle differenti esperienze realizzate sul territorio. Al fine di creare dei modelli organizzativi per ogni servizio erogato dai comuni. Ci sarà da studiare e non poco, muovendosi tra prestazioni erogate alla collettività (ad esempio l’anagrafe)o a domanda (asili nido o trasporti) che spesso sottendono attività di produzione differenti. In alcuni casi il calcolo sarà più semplice: tra le farmacie comunali e le private in fondo cambia principalmente la natura del proprietario. Qui la produttività per addetto o i prodotti venduti sono più o meno gli stessi. Più difficile invece sarà definire un modello efficiente nell’asporto dei rifiuti. In questo caso la realtà ci presenta almeno tre tipologie di servizi, con costi e soprattutto risultati differenti: il servizio gestito direttamente dal comune, quello ceduto in appalto e, per gli enti più piccoli, il servizio consorziato. In ogni caso la Sose sarà chiamata a determinare un livello accettabile di efficienza rilevando per ciascun ente fabbisogni coerenti con quelli raggiunti, in media, dai comuni più efficienti e a lui più simili. Con un processo che non dovrà essere statico: ogni tre anni infatti i nuovi studi sui fabbisogni, che avranno validità triennale (2011, 2012 e 2013), subiranno la loro naturale evoluzione. Creando un circolo virtuoso e condiviso. Su quest’ultimo aspetto, forse, ci sarà da sudare un po’ di più dovendosi la Sose confrontare con la variabile “politica”, fino ad oggi quasi del tutto assente nel confronto con autonomi e imprese nelle scelte sugli studi di settore. L’esecutivo conta di avere i primi fabbisogni pronti per l’autunno 2011così da consentire ai comuni di utilizzarli nei bilanci preventivi 2012. Ma il tempo stringe visto che il dlgs dovrà ottenere i pareri della conferenza unificata e della commissione parlamentare bicamerale prima di tornare a Palazzo Chigi per il sì definitivo. Ipotizzando, calendario alla mano, che l’iter consultivo si concluda entro metà novembre, solo da allora la Sose potrà cominciare a inviare i questionari agli enti locali. Che avrebbero 60 giorni per rispondere, pena la perdita dei trasferimenti. Ciò significa che la Sose potrebbe avviare le elaborazioni statistiche e la messa a punto dei primi modelli organizzativi alla fine di gennaio 2011.
Così la Sose prenderà le misure ai sindaci
La valutazione dei fabbisogni. Sarà effettuata con l’invio di questionari dalla società Tesoro-Bankitalia che si occupa degli studi di settore
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