ROMA – Vale almeno 13,2 miliardi la partita dei trasferimenti statali da trasformare in fisco municipale con l’attuazione del federalismo. Da questa voce dovrebbe arrivare il 38% delle entrate proprie dei sindaci una volta giunta a regime la riforma. I numeri emergono dal rapporto annuale sul quadro finanziario dei comuni presentato ieri dall’Ifel, l’istituto per la finanza locale dell’Anci. Nel pacchetto di risorse che dovranno alimentare la leva fiscale delle città, prossima tappa dell’attuazione del federalismo dopo il decreto sui fabbisogni standard varato ieri, potrebbero entrare anche i trasferimenti regionali, che nei territori a statuto ordinario valgono 6 miliardi di euro. Il destino, per ora, è certo solo sul fronte degli assegni statali, la cui abolizione rappresenta la “ragione sociale” della riforma federalista, chiamata a portare i bilanci locali dall’«irrespon-sabilità» (definizione di Tremonti) della finanza derivata da risorse centrali all’autonomia responsabile disegnata dalla legge 42. La torta delle risorse statali da trasformare in tasse locali è alimentata da due voci: i trasferimenti “storici”, che ovviamente puntano soprattutto a Sud per compensare la minore capacità fiscale del Mezzogiorno, secondo meccanismi che si sono stratificati nel tempo, e le compensazioni all’Ici sull’abitazione principale abolita nel 2008. Questo secondo terreno è minato, perché alimenta polemiche periodiche sul rischio di reintroduzione dell’imposta sulla prima casa, sempre negata con forza dal governo. L’obiettivo dichiarato è di riportare il tutto sotto la voce del fisco immobiliare mantenendo al riparo le abitazioni principali: l’ingresso delle compensazioni nelle voci da fiscalizzare, inoltre, semplifica un po’ i compiti della perequazione, perché la distribuzione territoriale è diversa rispetto a quella degli altri trasferimenti. Sui meccanismi, comunque, il confronto è aperto, e anzi gli amministratori locali chiedono un coinvolgimento più diretto: nel rapporto annuale l’Ifel traccia anzi una road map per questo capitolo della riforma, con l’obiettivo di arrivare a un risultato condiviso senza inciampare in troppi problemi applicativi. I punti chiave della proposta delineata dai tecnici dell’istituto sono due: su tutte le voci del futuro fisco municipale i comuni devono mantenere un alto livello di autonomia, che permetta loro di incidere su aliquote e disciplina del prelievo, mandando in pensione i vari blocchi al fisco locale che si sono succeduti negli ultimi anni. Per evitare il caos applicativo, poi, bisogna salvaguardare il più possibile «l’attuale quadro impositivo», che i comuni sono già in grado di gestire e offre anche il vantaggio di una giurisprudenza consolidata. L’unificazione del prelievo locale, nell’architettura disegnata dall’Ifel, non comprende l’Irpef, che dovrebbe continuare a seguire i binari attuali (congelamento delle aliquote escluso, naturalmente). Anche questa proposta nasce nel nome della semplicità operativa: addizionale e compartecipazione, infatti, non richiedono agli enti locali nessuno sforzo di gestione, e sono facili da manovrare. A mattone e Irpef dovrà poi accompagnarsi un riordino delle «altre voci» che oggi dividono in mille rivoli le entrate che nascono dall’occupazione degli spazi pubblici o dalla pubblicità, mentre l’imposizione sui rifiuti dovrebbe rimanere inalterata ( una volta chiarita la sua natura tributaria; si veda l’altro articolo in pagina 4) per garantire il collegamento tendenziale fra prelievo e tasso di inquinamento. A completare il quadro, rimarcano gli amministratori, deve poi intervenire l’imposta di scopo, da legare però al turismo per evitare le sovrapposizioni con l” Ici che hanno portato al fallimento sostanziale dei primi tentativi sul tema.
Per il nuovo fisco locale la dote parte da 13,2 miliardi
Rapporto Ifel. Il valore dei trasferimenti statali da trasformare in imposte
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