I comuni, dunque, sembrano avere raggiunto (al di là delle scaramucce di facciata) un accordo col governo. Avranno il tributo locale sugli immobili e, magari, anche il catasto. Ma, a questo punto, si tratta di stabilire se il nostro paese voglia continuare a essere uno stato di diritto o no. Non si risponde adeguatamente a questo interrogativo, se non si affronta e non si prende posizione sul fatto che qualsiasi intervento in tema di trasferimento ai comuni di funzioni catastali debba essere preceduto (dopo, l’impresa non sarebbe neppure pensabile) dall’analisi e dalla soluzione di alcuni gravi problemi che affliggono il settore catastale: da quello della necessità di rendere note a contribuenti e professionisti le unità immobiliari tipo previste dalla legge (con le quali devono essere confrontate le singole unità immobiliari ai fini del classamento), a quello della mancanza di trasparenza della procedura informatica per le denunce di accatastamento e di variazione catastale dei fabbricati (cosiddetta procedura Docfa); da quello dell’impossibilità, per i contribuenti, di impugnare nel merito le tariffe d’estimo, a quello dell’opportunità di condividere con le categorie interessate (come facciamo per gli studi di settore) le quotazioni rilevate dall’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia del territorio; tutto questo, sino all’ormai annoso (e vergognoso) problema della attuale vigenza di un catasto fondato su un sistema (patrimoniale) giudicato legittimo dalla Corte costituzionale solo in quanto transitorio (ma è tale, oramai, da più di un quindicennio!). Qualsiasi perequazione catastale e qualsiasi anche minimo grado di giustizia tributaria sono (nonostante ogni proclamazione al proposito) all’evidenza escluse, senza la prioritaria risoluzione delle questioni ricordate. Il problema, al di là di (commendevoli) petizioni di principio, è uno solo: se sia giusto, ed equo, che i comuni stabiliscano, oltre che le aliquote, anche la base imponibile del proprio principale tributo (quello immobiliare). Penso di no. E non mi risulta che questo avvenga in alcun paese al mondo (a cominciare dagli Stati Uniti, ove operano (addirittura) commissioni di cittadini-contribuenti, con poteri decisori com’era persino in certi catasti preunitari). Entra in gioco, a questo punto, il federalismo e questa domanda: se vogliamo parlare di federalismo, di federalismo vero, non è un non senso partire dall’immobiliare, e questo solo per la facilità di colpirlo, anzicchè dalle ricchezze trasferibili? Nel federalismo si dovrebbe votare con le gambe, trasferendosi dove si governa meglio: ma gli immobili sono tali per definizione, sono l’esatto contrario di un cespite attraverso il quale si attui la concorrenza fra enti locali, in che consiste il vero federalismo. Ma, forse, è proprio questo che i comuni vogliono evitare? Sento già aleggiare, a questo punto, la risposta di sempre, che vorrebbe dribblare tutte le precedenti domande: c’è il controllo elettorale, i comuni ne risponderanno ai propri elettori. Ma in Italia, specie in funzione del ben noto «capitalismo municipale», le cristallizzazioni di potere sono tante, che quel controllo in gran parte non funziona (in Umbria, per esempio, si contano 61 dipendenti pubblici ogni 1000 abitanti! – Ernesto Galli della Loggia, «Rossi per sempre», ed. Confraternita delle Foglie). Il voto da solo non è più in grado di premiare o sanzionare gli amministratori, il controllo elettorale «funziona solo nei piccoli comuni di poche migliaia di abitanti». Non lo dico io, lo dice Giovanni Sartori (Corsera 24/4/’10). E allora? Allora, il problema non è tanto catasto si o catasto no. Il problema è: federalismo vero, o finto (con criteri standard stabiliti, tra l’altro e in buona sostanza, al centro). Non c’è, invero,chiacchiera che tenga: il federalismo, o è competitivo o non è federalismo. I comuni dovrebbero decidersi, e decidere se essere con i propri cittadini veramente. Pensare solo alle risorse, ad arraffarle purchessia, è un falso modo per stare dalla parte delle comunità amministrate (che prima o poi, e più prima che poi, saranno al contrario le prime vittime di questo strano modo di procedere).
Il federalismo, o è competitivo, o non è federalismo
Gli immobili, non avendo le gambe, non possono fuggire dagli amministratori locali rapaci
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