MILANO – Costi standard con una strada più spedita rispetto a quella prevista per i fabbisogni dei comuni, che saranno fissati a rate nei prossimi tre anni, e per alimentare i bilanci il «mix» tra Iva e Irpef rilanciato da Bossi e Calderoli, abbassando i livelli attuali di compartecipazione sulla prima imposta e collegandoli alla geografia effettiva del prelievo. Sono questi i piatti forti del menu federalista di settembre per le regioni, che insieme alle province saranno le protagoniste della nuova fase di attuazione della riforma. I costi standard sono il dato più atteso per capire le reali potenzialità della riforma in termini di efficienza e risparmi, fisseranno il «prezzo giusto» di sanità, assistenza e istruzione e dovrebbero arrivare più in fretta rispetto agli standard di comuni e province. «Sulle regioni ? spiega Luca Antonini, presidente della commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale ? c’è già un’esperienza consolidata, e rafforzata dagli ultimi patti sulla salute». Il decreto in arrivo (la prossima settimana dovrebbe attivarsi il confronto finale sui testi nel governo) fisserà il criterio del benchmark, che ancorerà i costi standard alle prestazioni delle regioni più efficienti. Del gruppo dei migliori dovrebbero fare parte quattro amministrazioni, due di centrodestra (Lombardia e Veneto) e due di centrosinistra (Emilia Romagna e Toscana), ma alla fine il numero dei “modelli” potrebbe ridursi. Nel frattempo un gruppo di lavoro interno alla commissione ha preparato il terreno alle decisioni sui costi standard. Il suggerimento dei tecnici è quello di misurare il costo standard sul «servizio nel suo complesso », senza addentrarsi «nelle singole attività che lo compongono», per non perdersi in uno spezzatino di indicatori che abbraccia «componenti difficilmente quantificabili» e rischia di produrre parametri «difficilmente realistici». In sanità, per esempio, non si dovrà calcolare il costo ottimale di ogni aspetto, dalla risonanza magnetica alla siringa, ma occorrerà analizzare l’intero servizio. Sul tema la commissione ha già proposto un pacchetto di parametri: entrano in gioco i finanziamenti e spese pro capite, la loro distribuzione fra prevenzione e attività ospedaliere e distrettuali e i costi medi (per esempio la spesa pro capite per la farmaceutica, l’assistenza di base e specialistica, la diagnostica e la spesa per i vari tipi di ricovero), ma si valuteranno anche il tasso di ospedalizzazione, il personale e gli standard di struttura. La sanità è il cuore economico del problema, ma su assistenza e istruzione il compito è più complicato. Nelle politiche sociali, ricorda il gruppo di lavoro della commissione, «il primo grosso nodo da affrontare è che la legislazione nazionale non ha ancora definito i livelli essenziali delle prestazioni ». Sulla scuola, invece, in teoria il finanziamento statale ha già abbandonato la spesa storica, ma gli assegni seguono «parametri dimensionali e di struttura caratterizzati da una forte inerzia temporale», che vanno svecchiati. L’altro pilastro dei provvedimenti di settembre punta sulla fiscalità di province e regioni. L’autonomia delle prime si fonderà sul gettito fiscale prodotto dall’auto, mentre ai governatori sarà assegnato un mix di Iva e Irpef; l’ingresso dell’Irpef, oggi presente solo in termini di addizionale, sarà compensata da un abbassamento dell’aliquota di compartecipazione Iva (raddoppiata negli ultimi 10 anni), in un meccanismo che legherà l’imposta devoluta al gettito effettivo prodotto sul territorio.
Costi standard in tempi rapidi
Federalismo. Ripartono i decreti, in arrivo i criteri tarati sulle regioni più efficienti
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