Pagamento standard a 30 giorni per tutte le aziende. Con deroga però alle pubbliche amministrazioni: non oltre i 60 giorni. Statali o private che siano, in caso di ritardo, le imprese saranno tenute a corrispondere interessi pari al tasso di riferimento maggiorato dell’8% e di 40 euro come spese di recupero. Sarà invece facoltà degli stati membri quella di scegliere un termine accettabile per i ritardi nei pagamenti da parte della sanità. Questi sono i punti principali dell’Accordo raggiunto la sera del 13 settembre tra Parlamento e Consiglio europeo sulla direttiva «Late payment», che è previsto vada a Strasburgo nell’assemblea plenaria di ottobre per il voto finale. La disciplina dovrà essere recepita a livello nazionale entro due anni dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Solo allora inizieranno a prodursi gli effetti benefici. La votazione della bozza approvata ad aprile si attendeva a ridosso dell’estate. Come riferito però durante la conferenza stampa di Bruxelles, tenuta dall’europarlamentare tedesca Barbara Weiler, membro della commissione Imco (Mercato interno e protezione dei consumatori), la tutela dei pagamenti, soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese europee, è stata oggetto di tira e molla. L’8% per esempio rappresenta una soluzione di compromesso. Il consiglio infatti preferiva un tasso del 7% e un’eventuale penale del 5%, mentre il parlamento propendeva per un 9%. La necessità di una revisione della normativa europea, la cui ultima versione attualmente in vigore risale al 2000, è dettata dal fatto che, come dimostrato da uno studio presentato a maggio a Bruxelles dalla svedese Intrum Justitia, l’ammontare complessivo dell’insoluto è stimato intorno ai 300 miliardi di euro. L’indagine, il cui titolo è «2010 European payment index» (Epi), ha inoltre indicato le piccole e medie aziende come le principali vittime del fenomeno. Si pensi che sono la fonte predominante del Prodotto interno europeo, in quanto ne rappresentano il 56%. Attraverso la lente della società svedese inoltre è venuto alla luce che in Italia, amministrazione centrale, enti locali e servizio sanitario nazionale impiegano 186 giorni a effettuare i pagamenti alle imprese, contro i 128 rilevati nel 2009. Fanalino di coda dunque, visto che si collocano meglio la Spagna (153 giorni) e persino la Grecia (155 giorni). Per dare un’ulteriore misura di confronto basti pensare che la media Ue sarebbe di 63 giorni, migliorata rispetto al 2009 in cui è risultata essere di 67 giorni. Dalle stime effettuate invece dall’Abi i mancati pagamenti della p.a. dello stivale nei confronti delle pmi supererebbe i 50 miliardi. In tempi di rubinetti bancari chiusi, in vista anche di Basilea 3, e con un mercato del factoring in crescita, ma ancora poco diffuso, un’iniezione di liquidità di questa portata si rivelerebbe importante. In attesa che la direttiva segua il suo iter e diventi efficace a livello nazionale, oggi la legge 122/2010 sancisce che a partire dal 1° gennaio 2011 le imprese italiane che vantano crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, verso la pubblica amministrazione hanno il diritto di compensarli con le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo. L’ente debitore è obbligato a rilasciare la certificazione del credito entro 20 giorni dalla richiesta e versare l’importo compensato entro i successivi 60 giorni. Altrimenti il concessionario procederà alla riscossione coattiva. Se le pmi in attesa di pagamento seguiranno quanto sancisce la legge, ad aprile 2011 lo stato potrebbe dover affrontare una riscossione coattiva multimiliardaria.
L’Europa mette in riga la p.a.
A ottobre il voto finale a Strasburgo sulla revisione della normativa che tutela le pmi
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