E Novara vara i negozi etnici “a distanza di sicurezza”

L’ordinanza: 150 metri tra un esercizio e l’altro “per motivi igienici”. E per evitare la concentrazione di stranieri

Repubblica
13 Ottobre 2010
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NOVARA – A Novara i negozi di alimentari etnici non potranno stare a meno di 150 metri l’uno dall’altro, i titolari dovranno dimostrare di conoscere l’italiano, dovranno tradurre in italiano le insegne scritte in lingua madre e dovranno anche impedire, pena una multa, che sul marciapiede davanti all’ingresso si formino capannelli di persone che chiacchierano. Sta in questi quattro punti il giro di vite che l’amministrazione comunale novarese, guidata dalla Lega Nord, ha fissato in un’ordinanza per regolare la crescita di rosticcerie cinesi, venditori di kebab, macellerie islamiche e market africani. «Negli ultimi dieci anni a Novara è nata una quarantina di negozi e laboratori di questo tipo. La maggior parte è concentrata in alcune vie attorno alla stazione e questa nuova norma vuole proprio evitare che quei rioni diventino un ghetto. Inoltre ci siamo accorti che le condizioni igieniche erano scadenti: in 21 controlli fatti negli ultimi tempi non abbiamo trovato un locale totalmente in regola», spiega l’assessore alla Sicurezza, Mauro Franzinelli, che insieme al dirigente della polizia locale, Paolo Cortese, è “anima” di questa ordinanza. Che è solo l’ultima di una serie di leggi firmate dal sindaco, che non passano dalla discussione in consiglio, per «combattere il degrado». Negli anni scorsi aveva fatto discutere l’ordinanza che impediva alle donne musulmane di uscire con il burqa. Un’altra norma vietava di frequentare nelle ore notturne alcune aree verdi. Un’altra anti-prostituzione multava clienti e meretrici. Un’altra ancora vietava ai locali intorno alla stazione di vendere lattine di birra da asporto «per evitare che la gente bivacchi nei giardini, dando una pessima immagine della città a chi arriva con il treno», spiega l’assessore Franzinelli. Ultima, la stretta su kebab et similia. Soddisfatta la maggior parte dei residenti, che spesso si erano lamentati con il Comune perché «ad ogni negozio nostro che chiude ne apre uno loro». Preoccupati i gestori stranieri: «Se apriamo in altre zone rispetto a quelle in cui vivono gli stranieri, non vendiamo più».

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