«Gli stipendi ai dipendenti co-munali li pagheremo di certo. Quelli dei dipendenti delle aziende miste no, non siamo sicuri di potercela fare ancora, almeno per gli arretrati. Abbiamo un problema di liquidità piuttosto serio, è questo che ci assilla». Se la città del risanatore dev’essere urgentemente risanata, la teoria che l’Italia è sottosopra ha una sua obiettiva convalidazione nelle parole sconfortate di Giuseppe Raffa, sindaco pro tempore di Reggio Calabria. Il suo predecessore Giuseppe Scopelliti, homo novus berlusconiano, giovane, volitivo, deciso, ha lasciato la città per governare l’intera regione. E’ stato appena chiamato alla prova del nove: risanare il mostruoso deficit della sanità regionale, un buco che si tramanda oralmente. Sembra, si dice che sia non meno di due miliardi di euro la voragine prodotta in una trentennale malagestione. E Scopelliti, acclamato come si è detto dal popolo, ha lasciato Reggio nelle mani di Raffa. Gli ha consegnato una città colorata, piena di entusiasmo e anche di nuovi momenti di aggregazione, con una vita di relazioni intense, feste finalmente degne del più bel lungomare d’Italia, come scriveva D’Annunzio. La movida di Reggio è oramai un cult nazionale. Raffa però non ha mai goduto dei piaceri dell’esuberante predecessore. Si è trovato, senza nemmeno capire il come e il perché, in un vorticoso giro di polemiche, e di richieste, di creditori di ogni specie alla porta, di lavoratori in piazza, scuole sfrattate, giardinieri inferociti, netturbini disperati. Soldi, soldi, soldi. Tutti ora vogliono tutto. E ogni cosa la chiedono a Raffa: «A quanto mi risulta avevamo 49 milioni di euro fuori bilancio. Ma abbiamo regolarizzato, diciamo così tranquilli da quel punto di vista. Poi ci sono le differenze tra le fatture emesse e quelle pagate. E saremo sui 60 milioni di euro. Poi qualcosina di contenzioso. Sono andato anche alla Corte dei conti. Mi hanno detto: stai tranquillo». Tranquillo tranquillo non può. Solo nell’ultimo anno solare sono stati notificati alla tesoreria del comune 236 decreti ingiuntivi per nove milioni di euro e promossi 473 pignoramenti per altri nove milioni di euro. L’oralità in Calabria è prova che scrivere costa fatica, infatti si narra che sia di almeno 270 milioni di euro la montagna da scalare. «Noi pensiamo – afferma Demetrio Naccari, ex assessore regionale al Bilancio del Pd – che quella cifra sia la più vicina alla realtà». Il Partito democratico è così persuaso del disastro incombente, di una contabilità ballerina e simulatrice che nelle prossime ore presenterà un’interpellanza urgente sottoscritta da trenta deputati a Tremonti nella quale chiede che venga accertato lo stato di “pre-dissesto finanziario” e inviata urgentemente un’ispezione al Comune e dichiarata l’insolvenza di Reggio Calabria. Non è fallita Catania, fallisce Reggio Calabria? Incredibile solo a dirsi, e impossibile a crederci. Raffa è sindaco della disgrazia. Capisce e si adegua: «Mah, ciascuno faccia ciò che crede. Risulterebbero 50, tiè 60 milioni di euro – ribatte il sindaco – con certezza no, non posso esprimermi. Le ripeto, quello che mi angustia davvero è la liquidità, i soldi del giorno per giorno». Reggio Calabria paga quanto può la luce. Infatti l’Enel vanterebbe un credito intorno ai dieci milioni di euro. Non paga spesso l’acqua. La concessionaria vanterebbe nove milioni di euro. «Alt, posso dirle che abbiamo appena ottenuto una sospensiva dal tribunale di Catanzaro. Contiamo di veder abbattuto quel debito. Almeno l’acqua». Almeno l’acqua. Però il servizio di nettezza urbana ha un costo che in questo momento Reggio non sostiene. Circa 10 milioni di euro di arretrati. Circa sei mesi di stipendio non saldati ai lavoratori. Anche per la manutenzione di strade, edifici, verde pubblico il comune ordina ma non paga. Tredici dovrebbe essere il conto salato dei milioni da dare. Ah, poi c’è il metano. Una società, la Gas natural, ha infrastrutturato la città, vincendo l’appalto da 4,6 milioni di euro. Finiti i lavori, ecco la fattura. Insoluta, almeno fino alla settimana scorsa. Corri di qua e corri di là, Raffa non ne può più. «Io poi mi dico: e l’anno prossimo come diavolo facciamo con i tagli di Tremonti? I guai devono ancora venire».
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