Finora l’arruolamento dei comuni nella lotta all’evasione fiscale è stato poco più di una promessa: il momento della prova però viene adesso, perché è il federalismo municipale che con il passaggio alla Camera è arrivato alle tappe finali verso l’approvazione definitiva a offrire ai sindaci gli strumenti e gli incentivi veri per scendere in campo. Di collaborazione tra fisco e sindaci nel contrasto all’evasione dei tributi erariali si parla dal 2005, ma a livello nazionale fino a oggi il sistema ha prodotto una decina di milioni di euro in accertamenti (una goccia nel mare dei 25 miliardi di evasione scoperta solo nel 2010), e si è concentrato più che altro nelle intese fra agenzia delle Entrate e sindaci e nelle attività di formazione del personale. Nel 2010 è stato avviato il progetto biennale di formazione, in collaborazione fra l’Ifel (l’istituto per la finanza locale dell’Anci) e la scuola superiore di economia e finanze, e quest’anno i tecnici di tutti i capoluoghi lombardi parteciperanno ai corsi per utilizzare al meglio gli strumenti anti-evasione messi a disposizione dei comuni dalle nuove norme. Il grosso arriva dal federalismo municipale, che agisce su due fronti: aumentare le possibilità di accesso degli uffici comunali alle banche dati fiscali, e offrire agli enti locali un sistema di incentivi effettivo, in grado di superare i problemi che fino a oggi hanno confinato i premi nella teoria normativa, senza effetti pratici sulle casse degli enti. Da questo punto di vista, la novità più interessante si nasconde in un dettaglio tecnico che però è decisivo. Oltre a innalzare dal 33% al 50% del maggior riscosso il premio destinato al comune che aiuta l’agenzia nella lotta agli evasori, il federalismo fiscale taglia i tempi per assegnare gli incentivi ai comuni. Finora, infatti, i sindaci devono aspettare la riscossione a titolo definitivo, a cui spesso arriva dopo un contenzioso fra amministrazione e contribuente che può durare anni. In questo modo, il sindaco rischiava di giocarsi una fetta di consenso indossando i panni dello sceriffo anti-evasione, ma di non vederne i frutti in bilancio, che sarebbero arrivati solo dopo molto tempo, magari al suo successore. Il decreto sul fisco comunale cambia questo meccanismo, prevedendo che l’incentivo sia assegnato il comune anche con la riscossione non definitiva, rimandando al momento successivo solo gli eventuali conguagli sulle somme che si sono perse in contenzioso o per l’accertamento con adesione. Sul fronte degli strumenti, il federalismo apre integralmente ai sindaci le porte dell’anagrafe tributaria; in questo modo le amministrazioni locali, oltre alle dichiarazioni di chi risiede nel territorio del comune, potranno spulciare i dati sulle utenze (gas e luce), incrociandoli con quelli sugli affitti; per pescare chi offre una locazione in nero, quindi, sarà solo questione di volontà. Visto che una quota, crescente nel tempo, del gettito assicurato dalla nuova cedolare è destinato alle casse del comune, anche da questo punto di vista l’incentivo dovrebbe essere doppio. Non solo: le indagini telematiche dei sindaci si potranno addentrare anche nel campo delle attività economiche, osservando i dati di chi ha un’impresa o svolge un lavoro autonomo nel territorio del comune. Una spinta ulteriore, poi, dovrebbe arrivare dalla compartecipazione all’Iva, che nelle versioni finali del decreto ha sostituito l’Irpef come tributo statale destinato in parte ai comuni. Il decreto prevede che ai sindaci sia assegnata una fetta (da definire, ma dovrebbe oscillare tra il 2,6 e il 3,5%) dell’imposta generata dai consumi del loro territorio; le difficoltà applicative non mancano, ma questo sistema è chiamato a creare un interesse concreto delle amministrazioni locali contro chi “dimentica” di rilasciare scontrini e fatture.
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