L’approvazione del decreto legislativo sul federalismo municipale ha reso evidente a tutti che la riforma fortemente voluta dalla Lega è ormai un cantiere del quale non si riesce più a vedere la fine. Quello approvato dal Consiglio dei ministri di giovedì scorso è infatti solo il quarto decreto attuativo di una ventina di deleghe previste dalla legge numero 42 del 2009. Altri quattro sono l’esame delle camere o ci andranno nei prossimi mesi. Tutti gli altri devono ancora vedere la luce e per questo Roberto Claderoli ha chiesto quattro mesi in più per l’esercizio delle deleghe. E poi ci sono una ventina di regolamenti, una banca dati dei bilanci locali tutta da costruire, otto differenti tipi di procedure attuative. Eppure, il decreto sul fisco municipale, che andrà questa settimana alla firma del Capo dello stato, richiede a sua volta tre decreti attuativi (quelli sulla Tarsu, sull’addizionale Irpef e sul fondo perequativo), due regolamenti (imposta di soggiorno e tributi di scopo), vari dpcm e un decreto annuale per la determinazione della compartecipazione Iva. Insomma, se il principio ispiratore, il «vedo, pago, voto» è semplice ed efficace, la sua concretizzazione si è trasformata in un’opera gigantesca. Ma necessaria per archiviare il principio della spesa storica, che negli ultimi decenni ha dato il mano libera all’irresponsabilità degli amministratori locali, premiando cinismo e cortigianeria. Probabilmente Calderoli, il panzer della Lega che non ha mollato l’obiettivo nemmeno per un giorno, avrà avuto qualche volta l’impressione di sprofondare nelle sabbie mobili: come quando si sarà reso conto che, ancora prima di applicare il principio vedo, pago, voto, si è già trovato il modo di aggirarlo: di far pagare cioè la maggior parte delle nuove imposte non ai cittadini residenti, ma ai turisti (tassa di soggiorno, Imu sulle seconde case) o a chi svolge un’attività economica sul territorio comunale senza essere anche residente ( Imu secondaria sostitutiva di tasse di occupazione del suolo pubblico e imposte sulla pubblicità). Nonostante tutto e tutti, però, qualcosa si muove: il decreto appena varato ridurrà da 18 a 10 le fonti di prelievo comunale, sostituendo 11 miliardi di trasferimenti statali che venivano finora assegnati annualmente non in base al merito, ma in base al principio che chi più spende, più spande. La prossima battaglia sarà quella del federalismo regionale, che richiederà la individuazione dei costi standard (una specie di studio di settore applicato alla sanità), l’argine che dovrebbe contenere gli sperperi delle regioni e delle Asl. Ne vedremo ancora delle belle.
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