L’Italia arranca da dieci anni E la colpa è dell’Irap

IL PUNTO

Italia Oggi
10 Marzo 2011
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In Europa in pratica soltanto due paesi hanno una imposta patrimoniale a regime: la Francia, con l’imposta sulle grandi ricchezze, autentica imposta sul patrimonio, e l’Italia, con l’Irap, imposta regionale sulle attività produttive, un’imposta patrimoniale opaca sui fattori della produzione. Se il pil italiano da un decennio arranca, una possibile spiegazione va ricercata nell’Irap, un’imposta in vigore da ben oltre dieci anni. Il tributo introdotto dal primo governo Prodi fa scappare i capitali, finanziari e umani, e non ne attira dal mercato globale condannando l’Italia a un’autarchia fiscale che penalizza l’intera economia. Ma perché l’Irap è, nei fatti, un’imposta patrimoniale? Per produrre, meglio per organizzare la produzione, un’impresa deve contrattualizzare i fattori produttivi. Questi, se sono competitivi, producono profitti in maniera superiore ai costi altrimenti producono perdite. Nel mondo fiscale normale soltanto sulla differenza tra ricavi e costi si pagano imposte. Ma questo principio non vale per l’Irap, dovuta anche quando i costi dei fattori produttivi sono superiori ai ricavi. Quindi l’Irap è un tributo che si applica per il fatto stesso che un’organizzazione esista e sia finalizzata a svolgere attività economica. Con un’aggravante: che se per competere l’impresa ha bisogno di produrre molti beni frutto dell’ingegno, quindi di investire molto in ricerca, o di assumere capitale umano più costoso della media del mercato, ebbene sui questi costi aggiuntivi l’Irap non fa alcuno sconto e chiede un’imposta più elevata alle aziende che investono di più in capitale umano o ricavano di più dai diritti di brevetti e opere dell’ingegno. In piena economia della conoscenza creativa, l’Irap è la patrimoniale più regressiva verso il bene più prezioso: il capitale umano specialistico e i prodotti immateriali con privativa. In sostanza è un’imposta patrimoniale atipica che scoraggia gli investimenti nei fattori produttivi che oggi consentono di competere e vincere nell’economia globale. È un po’ come se le autorità cinesi mettessero un dazio sulle proprie esportazioni o i produttori di petrolio tassassero chi investe nelle infrastrutture necessarie per estrarlo. L’Italia non ha materie prime tranne le capacità e le competenze del proprio capitale umano, proprio quel patrimonio sul quale l’Irap si accanisce senza alcuna considerazione del contesto competitivo contemporaneo. Da sempre il duo Berlusconi-Tremonti ha promesso di abrogare l’Irap, ma nel 2011 l’imposta è ancora in vigore. La partita appena iniziata della riforma fiscale può segnare un punto di svolta per archiviare per sempre l’unica imposta ideologica in vigore nel Vecchio continente.

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