Tre miliardi in meno dai comuni, 500 milioni dalle province e 3,3 miliardi dalle regioni. È il consuntivo dei pagamenti ricevuti nel 2010 dalle imprese, soprattutto piccole e medie, che lavorano con le pubbliche amministrazioni territoriali, messo a confronto con i livelli dell’anno prima. Una bordata sui sistemi economici locali, che senza una (improbabile) inversione di rotta rischia di ripresentarsi quest’anno in forma ancora più secca. A certificare le fatture mancate all’appello è il monitoraggio dei pagamenti pubblici del ministero dell’Economia, che monitora in tempo reale i flussi di cassa di enti e amministrazioni. I dati che Il Sole 24 Ore è in grado di mostrare offrono per la prima volta le dimensioni effettive di un fenomeno che complica sempre di più la vita delle imprese, e che i numeri reali mostrano ancora più pesante del previsto: rispetto a un 2009 già difficile, l’anno scorso si è chiuso con 7 miliardi in meno liquidati dalle pubbliche amministrazioni territoriali, con una flessione del 17% in dodici mesi. A frenare di più, come mostrano i dati comunali, sono i territori poveri del Mezzogiorno (-23,2%), dove i bilanci locali sono più deboli e dove l’assenza di un’economia privata solida rende le imprese ancora più dipendenti dai rapporti complicati con il settore pubblico. I segni meno, però, dominano tutto il paese, e la geografia è più variegata del previsto: a Milano, per fare solo un esempio, il comune riesce ancora a pagare con una certa regolarità (e le deroghe al patto legate all’Expo dovrebbero mantenerla in linea anche quest’anno), mentre in provincia si segnalano problemi anche gravi. La crisi economica c’entra, senza dubbio, ma fino a un certo punto. A colpire in particolare comuni e province è il patto di stabilità, che impone ai sindaci di raggiungere un certo saldo di bilancio (entrate meno spese) ma con un criterio di calcolo dagli effetti perversi. I vincoli di finanza pubblica, infatti, hanno lasciato per anni gli enti locali liberi di programmare investimenti, ma ne hanno limitato i pagamenti effettivi, cioè la voce «rilevante» per il patto, dilatando i tempi di liquidazione delle fatture; per contenere questa evoluzione, le regole più recenti sono intervenute anche sulla sua genesi, cioè l’impegno di spesa, e il freno è diventato doppio. In pratica: si investe meno, e quel poco lo si paga più tardi. Questa disciplina è intervenuta su una situazione che spesso, per errori di programmazione e inefficienze varie, era già lontana da standard «virtuosi». Il risultato emerge spulciando i dati relativi ai capoluoghi di provincia: tempi di pagamento medi che in una metà abbondante dei casi superano i 150 giorni, e che in qualche città del Mezzogiorno sfiorano i 12 mesi, con buona pace delle norme che imporrebbero di onorare i debiti a 30 giorni. A diventare esperti, loro malgrado, delle dinamiche che guidano i bilanci pubblici sono soprattutto gli imprenditori delle costruzioni, settore che non a caso è secondo nella classifica del tasso di investimenti (nel 2010 il parametro è salito a 27,5 default ogni 10mila imprese, tre punti sopra rispetto all’anno prima; si veda Il Sole 24 Ore del 9 marzo). Le sole voci dei bilanci comunali legate a infrastrutture, fabbricati e altre opere pubbliche hanno “perso” nel 2010 pagamenti per 2,3 miliardi di euro, cioè il 79% della flessione registrata fra i sindaci. Se il consuntivo è preoccupante, le prospettive rischiano di essere anche peggiori. I lavori si pagano in base ai loro stati di avanzamento, che spesso si prolungano anche negli anni successivi a quello di nascita degli investimenti. Una flessione degli investimenti locali nel 2010, di conseguenza, è destinata a riflettersi sulla dinamica dei pagamenti negli anni immediatamente successivi. Complici le regole del patto e la stretta ai trasferimenti, l’anno scorso le amministrazioni locali hanno investito ancora meno rispetto al 2009: la caduta più decisa si registra nelle province (-31%) ma anche i comuni, titolari di gran parte degli impegni locali, registrano un -16,8%, con il risultato che scompare un altro miliardo dalla base di calcolo su cui si eserciteranno i pagamenti di quest’anno. Difficile ipotizzare oggi un cambio di rotta, dopo che la manovra estiva e la legge di stabilità hanno agito ancor più drasticamente di forbice sulle assegnazioni agli enti locali. Finora ha ottenuto risultati modesti anche l’intervento delle regioni, che dal 2009 avrebbero potuto aiutare i comuni a “liberare” risorse per i pagamenti compensando il tutto con un aiuto diretto per non cambiare il risultato del consolidato territoriale. La legge di stabilità e il milleproroghe hanno aumentato gli incentivi ai governatori per attuare questi meccanismi: resta da capire quale sia il reale spazio di manovra per le regioni, anche loro destinatarie di sforbiciate consistenti nei fondi nell’ultima manovra.
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