Restano ancora sei settimane per accelerare il percorso di Agenda digitale: il traguardo è di raccogliere in cento giorni le proposte per lo sviluppo di un’economia supportata da investimenti in telecomunicazioni e informatica in modo da rilanciare l’innovazione. Ma finora le reazioni sono piuttosto tiepide. Dalla politica arrivano segnali di incoraggiamento. Il Partito democratico lavora su un documento e l’Udc ha avviato consultazioni. Di recente anche Confindustria ha annunciato un tavolo di discussione. Neelie Kroes, vicepresidente della Commissione europea, ha inviato un messaggio di sostegno via Twitter. Il tempo, però, stringe rispetto all’obiettivo prestabilito. Il primo risultato raggiunto, comunque, è stato di riunire in una singola azione un universo frammentato, e difficile da aggregare attorno a progetti comuni: quello dei professionisti delle telecomunicazioni e dell’informatica. La prossima occasione di dialogo sarà durante il Forum PA: «Valuteremo le proposte raccolte, poi tireremo le somme per capire se la risposta politica è stata adeguata», osserva Peter Kruger, promotore di Agenda digitale, durante un convegno all’Università Iulm per valutare gli obiettivi raggiunti a metà strada dal lancio dell’iniziativa. A descrivere lo scenario attuale nei paesi Ue è stata Lucilla Sioli, capo unità per le analisi economiche e statistiche Infso.C4 della Commissione europea, una delle poche donne presenti in sala. È stata lei a segnalare che il principale ritardo italiano è nella banda larga fissa: in media ha accesso all’internet veloce il 25,6% dei cittadini europei, ma l’Italia resta indietro con il 21,3% della popolazione, nonostante i costi delle connessioni siano simili agli altri Stati. Nelle infrastrutture per la diffusione della fibra ottica, inoltre, l’Europa è indietro rispetto a Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti, tranne che in poche isole all’avanguardia, come la Svezia. «La richiesta dell’Agenda digitale europea è di adottare un piano nazionale entro il 2012», sottolinea Sioli. Un capitolo aperto riguarda chi non ha mai navigato sul web. Nei paesi membri della Ue il 27% delle persone non accede a internet, ma in Italia è una fascia della popolazione che arriva al 40 per cento. La convinzione diffusa per spiegare il “digital divide” deriva da una barriera anagrafica che penalizza soprattutto gli anziani. «Non sembra dipendere dall’età avanzata: altri paesi paragonabili non hanno questi problemi. Piuttosto, è una questione legata all’istruzione e alle competenze digitali di base», aggiunge Sioli. A fine maggio sarà pubblicata online una tabella per misurare i progressi dei paesi in vista del Consiglio europeo.
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