L’ultimo giorno è stato soprattutto quello del derby tra Comuni e Regioni. Fra tagli e sblocco delle addizionali, il Governo ha limato il testo del federalismo regionale fino all’ultimo. Alla fine i governatori hanno dato il via libera (lasciando i malumori ai sindaci). E poco dopo anche il Pd, incassata una clausola di salvaguardia in favore delle autonomie, ha sciolto le riserve. Il fisco regionale ha così ottenuto il via libera della commissione, permettendo alla Lega di festeggiare un successo politico indiscutibile. A due anni dall’inizio di un percorso quanto mai accidentato, la riforma-bandiera di Bossi comincia a prendere forma. E lo fa anche con l’astensione del principale partito d’opposizione, conquistando quindi anche un minimo aplomb bipartisan. Il successo politico ha avuto però i suoi costi. Alla ricerca del consenso necessario, il disegno federale ha progressivamente rinunciato a se stesso, riducendo le quote di autonomia e responsabilità fiscale. Il ridisegno dell’architettura delle imposte non ha prodotto una quota significativa di semplificazione. E soprattutto, al di là di una generica clausola, non c’è reale garanzia di non aumento della pressione fiscale complessiva. Ma non tutto è perduto. Il federalismo fiscale resta una riforma che può essere utile all’Italia. Purché si utilizzino i prossimi mesi per metterne a punto i tasselli ancora scomposti.
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