Termini fissi per pagare gli appalti

Gare pubbliche – Una sentenza del Consiglio di Stato esclude le soluzioni pattizie che sono invece ammesse tra privati

Il Sole 24 Ore
11 Aprile 2011
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Le amministrazioni pubbliche non possono concordare con gli appaltatori, in sede di stipulazione del contratto, accordi derogatori dei termini di pagamento e devono rispettare il quadro normativo di riferimento. Le soluzioni pattizie per la definizione dei tempi di versamento dei corrispettivi delle prestazioni sono gestibili negli appalti tra privati (seppure nei limiti di non iniquità previsti dalla combinazione tra gli articoli 4 e 7 del Dlgs 231/2002), ma non in quelli pubblici, nei quali manca la fase precontrattuale. Il Consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza 1728 del 21 marzo 2011 ha evidenziato come l’individuazione delle modalità di pagamento (o dei parametri per determinarle nel contesto della gara) costituisca un elemento che il bando deve prendere in espressa considerazione in attuazione della normativa comunitaria (essendo incluso tra gli elementi essenziali previsti dall’articolo 64 e dall’allegato IX A del codice dei contratti pubblici). I tempi La sentenza conferma una linea interpretativa consolidata (chiarita in dettaglio dallo stesso Consiglio di Stato con la sentenza 469 del 2 febbraio 2010), per la quale negli appalti pubblici i termini di pagamento devono necessariamente essere quelli standard (30 giorni dal ricevimento della fattura), previsti dall’articolo 4, comma 2 del Dlgs 231 del 2002, che si configura peraltro come norma imperativa (per cui eventuali clausole del bando che stabiliscano deroghe sono nulle). Il termine di 30 giorni come dato insuperabile è previsto ora dall’articolo 4 della direttiva 2011/7/Ue, che dovrà essere recepita entro il marzo 2013, ma che costituisce un riferimento importante per l’organizzazione di questo aspetto nei futuri appalti. La normativa vale per gli appalti di beni e servizi (come chiarito dall’articolo 307 del Dpr 207/2010), mentre per gli appalti di lavori la giurisprudenza ha dimostrato la specificità della normativa settoriale, ora rifluita negli articoli 141, 142 e 143 del regolamento attuativo del codice dei contratti pubblici. L’articolo 143, in particolare, sancisce i termini consolidati per cui, entro 45 giorni dalla maturazione dello stato di avanzamento dei lavori (definita dall’articolo 194), deve essere emesso il certificato di pagamento (che costituisce il titolo in base al quale matura il credito dell’appaltatore): il versamento del corrispettivo deve poi avvenire entro 30 giorni dalla sua emissione. Programmazione e accordi Per ottimizzare i pagamenti, le stazioni appaltanti possono riferirsi alle indicazioni della Corte dei conti, sezione regionale Puglia, che – nel parere 120 del 28 ottobre 2010 – invita a programmarli sin dall’avvio della procedura di gara (in corrispondenza con la prenotazione di impegno), rapportandoli al cronoprogramma di sviluppo dell’appalto. Così si può garantire il rispetto dell’articolo 9 della legge 102/2009 e i pagamenti possono essere ricondotti secondo una logica previsionale ai flussi di cassa limitati dalle regole del patto di stabilità interno. Le amministrazioni devono gestire le problematiche relative ai pagamenti considerando che gli interessi moratori e le eventuali spese per il recupero dei crediti da parte degli appaltatori non rientrano nelle tipologie di spese riconoscibili tra i debiti fuori bilancio, in quanto non fanno conseguire all’ente alcuna utilità o arricchimento. Proprio per far fronte a tali problematiche, molto frequentemente le stazioni appaltanti formalizzano accordi transattivi (in base all’articolo 239 del Dlgs 163/2006) con gli esecutori dell’appalto, che si impegnano a rinunciare agli interessi per ritardato pagamento in cambio di una programmazione definita del versamento dei corrispettivi (secondo un modulo pattizio ritenuto legittimo dalla Cassazione, sezione I civile, sentenza 5433 del 29 febbraio 2008). Tale soluzione, peraltro, è esperibile solo quando la situazione si sia verificata e rappresenti effettivamente una criticità nel rapporto tra stazione appaltante e appaltatore, su proposta dell’amministrazione, e comunque non può essere preconizzata già in sede di gara (configurandosi altrimenti proprio come un accordo derogatorio, illegittimo secondo quanto stabilito dal Consiglio di Stato con la sentenza 1728/2011). Le amministrazioni non possono, inoltre, definire criteri di valutazione che vadano a premiare le imprese concorrenti che propongono termini di pagamento più lunghi, poiché si violerebbe il principio comunitario di parità di trattamento (come evidenziato dall’Avcp nella determinazione 4/2010).

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