E’ la corazzata che fa capo a via XX Settembre e alle fondazioni bancarie, che utilizza il risparmio postale italiano, circa 300 miliardi di euro, per prestiti ai comuni per opere pubbliche e investimenti diretti in progetti infrastrutturali. Ora potrà acquisire quote di società strategiche di interesse nazionale, quelle finite nel mirino di gruppi esteri, individuate dal ministero dell’economia. Ma in tutto ciò l’attività di Cassa depositi e prestiti non si configura come aiuto di stato. A metterlo per iscritto è la Ragioneria generale dello stato in merito al decreto legge omnibus sul Fondo unico per lo spettacolo, gli aiuti a Pompei e il nuovo ruolo appunto di Cassa depositi e prestiti. Un provvedimento, in sede di conversione al senato, che ieri ha visto depositati circa 200 emendamenti e che dovrà essere licenziato per l’aula in tempo utile per lunedì sera, quando inizierà il voto. Sull’articolo 7, che amplia lo spettro di azione della società guidata da Franco Bassanini, si sono sollevate molte perplessità, da parte dei tecnici dell’ufficio bilancio di Palazzo Madama, ma anche della commissione bilancio e della commissione affari costituzionali. La prima commissione in particolare, con un parere consensuale, ieri ha affermato che «il decreto reca eccessivi e irragionevoli margini di discrezionalità nel definire i requisiti per le tipologie di società oggetto di possibili acquisizioni da parte della Cassa». Ma andiamo con ordine. Secondo la nota chiarificatrice firmata dal Ragioniere generale, Mario Canzio, il dl si limita ad ampliare la casistica delle possibilità di intervento dell’azione della Cassa già previste con la riforma del 2003, precisando, «ai soli fini di trasparenza contabile», che nel caso in cui la partecipazioni nelle cosiddette società strategiche siano acquisiste mediante utilizzo di risorse provenienti dalla raccolta postale, «le stesse siano contabilizzate nella gestione separata». Per quanto riguarda glie effetti di finanza pubblica, il fatto che il risparmio postale goda di garanzia pubblica «non implica che il debito relativo a tale raccolta si iscritto nel bilancio dello stato né che costituisca debito pubblico ai fini di Maastricht». L’eventuale impegno poi di queste risorse in partecipazioni azionarie in imprese private risponderebbe a scelte di natura gestionale e imprenditoriale autonome della Cassa «e non ha alcun impatto sui saldi di finanza pubblica né sull’indebitamento né tanto meno sul fabbisogno». Caso questo dunque ben diverso dalla proposta discussa in passato di utilizzare Cdp per eliminare i ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, dove la Cassa agiva per conto dello stato. Questo sì che avrebbe configurato una riclassificazione dell’operazione a carico del bilancio pubblico.
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