ROMA – La frontiera per la nuova politica di incentivi alle imprese nel Mezzogiorno non è tanto il credito di imposta, notificato con successo già in passato alla direzione generale concorrenza di Bruxelles. Piuttosto la sfida (e la trattativa informale) in cui è già impegnato il Governo italiano è un credito di imposta tutto nuovo, finanziato con i fondi comunitari. Cose mai viste, finora. Ancora venerdì scorso Raffaele Fitto, ministro delle Regioni con la delega per i fondi Ue e Fas, ne ha parlato al commissario per la coesione territoriale, Johannes Hahn, venuto in Italia per due giorni di incontri con i governatori del Sud. Bruxelles è diffidente, ma non chiude del tutto le porte all’ipotesi prospettata dall’Italia. Non era la prima volta, d’altra parte, che il Governo italiano avanzava questa richiesta alla Commissione, anche se la prudenza, da parte dello stesso Fitto e del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, è sempre stata massima nell’illustrare il disegno. Già non avere ricevuto un “no” secco è stato un successo all’inizio. Ora si tratta di fare un passo avanti e capire con esattezza quali siano le condizioni che Bruxelles pone perché lo strumento possa essere dichiarato legittimo. Anzitutto va detto – ma questo vale per il credito d’imposta in generale – che occorre individuare attività mirate che si vogliono incentivare. Le due su cui si orienta il Governo italiano sono la ricerca e la nuova occupazione. Vanno definiti meglio i paletti, ma la sostanza è questa e non dovrebbe incontrare obiezioni. L’ostacolo vero è invece che Bruxelles non può ammettere l’utilizzo di fondi comunitari per finanziare meccanismi di incentivazione troppo generici ed erga omnes e ha invece necessità di incardinare le risorse agli obiettivi prefissati. Occorre prevedere, in sostanza, non soltanto un obiettivo molto mirato ma anche un meccanismo ex post che consenta di verificare l’utilizzo effettivo delle risorse da parte delle imprese secondo le finalità concordate. Bruxelles è attenta, in altri termini, a evitare che le risorse comunitarie siano spese per obiettivi diversi da quelli dichiarati. Certo, un credito di imposta finanziato da fondi comunitari presenterebbe per l’Italia almeno tre vantaggi cui sono sensibili sia Fitto che Tremonti. Anzitutto, l’incentivo consentirebbe di accelerare la spesa finanziata con i fondi comunitari, evitando la tagliola che già a fine anno scatterà inesorabile. Dal 2007 al 2010 abbiamo speso circa 3,5 miliardi di fondi Fesr e Fse e dobbiamo arrivare a 8 miliardi entro fine anno. Il credito d’imposta tira cassa velocemente e aiuterebbe quindi ad accelerare la spesa. Inoltre, il credito non inciderebbe sul patto di stabilità e non graverebbe sul bilancio statale. L’ultima questione è da dove dovrebbero arrivare le risorse comunitarie, che potrebbero ammontare da prime stime a 3-4 miliardi entro il 2013. Fitto ha appena approvato nuove regole per evitare la tagliola di fine anno e riprogrammare da subito le risorse dei programmi in ritardo. Entro maggio, per esempio, si dovrà verificare che gli enti di spesa abbiano impegnato il 100% di quanto si deve spendere entro fine anno. Una quota di ciò che non risulta impegnato – per percentuali variabili fino all’1,5% – sarà immediatamente destinato ad altri interventi. Tra questi potrebbe esserci il credito d’imposta. Stesso discorso per chi fallisce le prossime scadenze, fino alla fine dei programmi 2007-2013 in corso.
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